Il racconto di Sonno, che esordisce nel romanzo a fumetti con Prima di tutto tocca nascere ha una particolarità su tutte: è una storia circolare, ma non per questo chiusa. Sonno – al secolo Michela Rossi – conserva gelosamente nella sua narrazione le infinite possibilità del reale e le offre a Mattia – il suo protagonista – che invece sembra più incline a constatare l’ineluttabilità della vita racchiusa nel lapidario titolo: alla nascita, descritta come una condizione alla quale non si può sfuggire, magari il corpo si può ribellare, scegliendo di non sottostare alle condizioni imposte dal proprio concepimento. Il suo, per esempio, si rifiuta di camminare.
Abbiamo parlato con Sonno del suo nuovo libro, delicato e complesso, uscito recentemente per Feltrinelli Comics.

Le tue storie sono comparse sull’antologia «La Rabbia» (Einaudi, 2016) curata da Valerio Bindi e Luca Raffaelli, e in quella curata da Fumettibrutti «Sporchi e subito» (Feltrinelli Comics, 2020). Poi c’è stato «Anatomy of a sensitive person» nel 2019 del marchio indipendente Fortepressa di nuovo curato da Valerio Bindi…. Tutto questo per arrivare al tuo romanzo d’esordio. Possiamo dire che il corpo è al centro della tua riflessione e indagine?
Noi non possediamo un corpo. Noi siamo un corpo. Si capiscono davvero tante cose di una persona osservando semplicemente come cammina, come respira e come muove il proprio corpo. Non siamo solo la nostra testa e i nostri pensieri. Il nostro corpo è pesante, non è esclusivamente un oggetto che proietta un’ombra, ha dignità ma soprattutto un potere infinito.

Nelle prime tavole, dove narri la nascita di Mattia, il corpo che vediamo nella bolla anche in posizione fetale, è quello della madre, Luisa Innocenti, che sembra rimpiangere qualcosa del suo passato. Questo è un primo indizio del fatto che il corpo porta la traccia dei nostri sentimenti?
Nelle prime pagine si vede la madre di Mattia perché la nostra base è la famiglia. La famiglia intesa come cotesto nel quale cresciamo, le prime persone che incontriamo, che ci trasmettono a volte saggezza e a volte le loro paure. Mattia è un bambino normale in tutto e per tutto, ma non muove le gambe e neanche i medici riescono a spiegare le cause del suo male. «Non si può spiegare tutto» dice la madre ricordando piccoli eventi della sua vita irrilevanti rispetto alla malattia del figlio.

 Non è la rassegnazione all’impossibilità delle spiegazioni, piuttosto l’accettazione del proprio corpo, la chiave di volta del libro, giusto?
Secondo me, quello che ci rovina davvero la vita è l’ossessione e l’illusione di poter controllare tutto. Siamo abituati a misurarci, monitorarci, contare le ore del nostro lavoro, contare le calorie. Tutto è un numero, tutto è quantificabile e certo. Infatti appena ci troviamo davanti a qualcosa che non possiamo o non riusciamo a gestire spesso andiamo nel panico. Il panico a volte si trasforma in ansia, rabbia o tristezza, apatia.
Con questo libro ho voluto proprio parlare di questo. La frase «non si può spiegare tutto» non significa rassegnarsi, ma è un’idea e un percorso molto più profondo e complesso. La sfida per me è stata provare a parlare di questo tema in maniera chiara e comprensibile, senza forzare il lettore con opinioni personali e dogmi, perché con una regola o una ricetta si torna al problema principale, cioè la necessità di avere una soluzione semplice, come il libretto di istruzioni di Ikea.

«Non ti muovi perché nessuno si aspetta che tu vada da qualche parte» dice la fisioterapista a Mattia. È un invito a responsabilizzarsi nei confronti del proprio destino?
Sì, è un invito a muoversi, vivere e sognare senza cercare l’approvazione da parte degli altri. Quando l’ho scritto ho pensato che fosse proprio una frase antipatica, il classico discorso che ti fa arrabbiare perché sai perfettamente che chi ti parla ha ragione ma non propone nessuna soluzione. Solo i fatti, la realtà. E la realtà è difficile da digerire.

La storia di Mattia sembra suggerire che la capacità di dialogare e di essere in relazione col proprio corpo può abbattere le barriere imposte dall’abilismo. È così?
È una domanda molto complessa e sarebbe più corretto rispondere «non ne ho idea». A chi interessa il tema consiglio il lavoro che fa da anni Sofia Righetti e il progetto «Tetrapride» di Cecilia Sammarco. Detto questo però credo che un maggiore dialogo con il proprio corpo aiuti a percepirsi maggiormente come individuo presente e responsabile, quindi ad avere ben chiaro il concetto di rispetto verso sé stessi e gli altri.

Una volta nati, volenti o nolenti, si esce alla luce. Anzi, «tocca nascere» ovvero imparare a stare nella luce. Un esercizio davvero faticoso, e per giunta ciclico, anche nel tuo libro, dove si alternano pieni e vuoti, luce e oscurità. Non è un processo che si compie con l’età adulta vero?
Per me è un processo che si affronta in maniera più faticosa con l’età adulta, perché la necessità e la fretta di trovare un senso aumenta sempre di più. In questi giorni mi è capitato spesso di riassumere Prima di tutto tocca nascere dicendo semplicemente che è un libro che parla di «crescita», in realtà parla di un particolare tipo di «crescita».

È una domanda che non amo, ma ci sono dettagli specifici della vita di Mattia, anche solo il nome che sceglie per il suo profilo Myspace, le difficoltà alle quali la sua professione lo espone che mi fanno pensare che siano molti gli elementi reali nella sua storia…
Ho pensato di mettere quel nome sul profilo Myspace di Mattia proprio per creare questo tipo di confusione, questa specie di corto circuito in cui il lettore pensa «Ma è una biografia o no? Ma sta parlando della sua vita o è tutto inventato?». Lo stesso vale per la sua professione: ci sono sicuramente alcuni piccoli elementi reali ma per esempio non ho mai vissuto a Berlino. Ho vissuto per un po’ di tempo a Barcellona e per me sarebbe stato sicuramente più semplice parlare di questa città, invece ho preferito documentarmi e fare tantissime domande ad amici che hanno vissuto a Berlino. Oltre a questo va detto che mi rivedo molto nel personaggio della madre di Mattia, per vari motivi troppo lunghi da spiegare. Paradossalmente, invece, alcune azioni di Mattia sono sicuramente coerenti con il personaggio ma non sono per nulla collegate a mie esperienze e opinioni. In sostanza ho cercato di fare un libro molto intimo senza parlare di me.