Lui è un professore di astrofisica di genio e molto fascino, lei è la sua allieva fuoricorso – «tre anni meno di te» puntualizzerà non senza un certo orgoglio alla figlia dell’uomo – bella, turbata, con vuoto di figura paterna, che studia le stelle con la stessa passione con cui lui la guarda. I due sono amanti, il che narrativamente (e anche nella realtà) non è una novità, un amore di slanci e incontri segreti tra un viaggio, una lezione e un convegno di lui, di quelli che non si raccontano alle amiche (peraltro la ragazza in questione non ne ha) perché lui ovviamente è sposato (e famoso) e per i soliti infiniti e comprensibili motivi non si separa dalla moglie.

 

 

 

E anche a lei, che per pagarsi gli studi fa la stuntman simulando morti orrende su ogni nuovo set, va bene. Vuoi mettere la seduzione dei lunghi corridoi d’albergo clandestini con camere ufficialmente separate alla noia del quotidiano casalingo di riti e obblighi familiari? Così ti prendi solo i momenti belli, l’assoluto, il piacere, e sfidi a indovinare i segreti della distanza e dell’altrove (vivono in città diverse) inventando qualcosa a ogni incontro.

 

 

 

Che poi gli altri dicano di lui che è un «egoista» e «ha fatto soffrire tutti»(il suo medico) giudicare non serve. L’alchimia di una storia d’amore sfugge persino a chi la vive. Perché questo è il nuovo film di Giuseppe Tornatore, una variazione sul «discorso amoroso» con Jeremy Thomas che chissà perché dai tempi de Il danno (film di Louis Malle, sopravvalutato romanzo di Jospehine Hart) sembra destinato al ruolo di amante agé paterno e roso dai tormenti, e Olga Kurylenko, il corpo amoroso danzante malickiano in To the Wonder, che però lì si limitava alla gestualità (e forse era meglio) – va detto che il doppiaggio come al solito non aiuta.
Un’impresa complicatissima raccontare una storia d’amore nella sua incredibile banalità. E poteva essere addirittura un film per l’antologia cult di Marco Giusti – la prima battuta (di reminiscenza antonioniana) quando i due si salutano al mattino presto in albergo prima che lui torni a Edimburgo dove vive, «è una vita che non mi dai una tua canottiera» – devo dire lo accredita per diritto ma Tornatore, come spesso capita nei suoi film non si abbandona mai al racconto, o non si fida chissà, e deve invece riempirlo di pretese filosofiche, spiegazioni, pesantezze, citazioni che ne soffocano il respiro e la libertà. Quella cinematografica per primo.

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Anche perché, a complicare le cose, l’amore vive qui in assenza, in una distanza «galattica» e più che la storia in sé di loro due insieme il regista sembra concentrarsi proprio su questo impossibile cortocircuito tra presente e memoria; lui muore quasi subito ma continua a scriverle, a mandarle mail,sms,mms al punto che lei (e noi) non crede alla sua morte. Anche qui: bisogno di rinviare il distacco o sopraffazione che impedisce alla ragazza la necessaria elaborazione del lutto incollandola spasmodicamente allo smartphone?

 

 

 

Non dimentichiamo però che lui studiava le stelle e la loro luce vive molto a lungo dopo la scomparsa, e soprattutto che il punto di vista del regista coincide con il personaggio maschile, è la sua idea di desiderio (possesso, ma a lei piace farsi docilmente guidare … ) che vediamo al punto che talvolta il rapporto si rovescia, e il personaggio in «carne e ossa«, cioè la ragazza, diventa più virtuale dell’uomo, proiezione o fantasmagoria di un ricorrente sogno maschile.

 

 
Spazio e tempo dissolti nell’immagine sulla pellicola (o sul digitale) in forma di luce. Non è questa anche la materia del cinema e ancora di più per un cinefilo come Tornatore? Tra «vecchie» lettere (è pur sempre un uomo novecentesco Ed Phoerum), skype, mail, mms, vidoemessaggi nella distanza (che è sempre stata la cifra della loro relazione) i due toccano le molte declinazioni possibili della letteratura amorosa, dunque anche l’eternità e il mistero (ma sarà davvero morto?). E però nonostante l’impalcatura metafisica, o forse per questo, la grana del sentimento rimane tutta lì, in una scrittura (dello stesso Tornatore) sin troppo evidente a cui manca la leggerezza per osare. Peccato.