Se l’etica entra nelle patrie galere
Fuoriluogo L’irruzione nel dibattito politico della proposta di amnistia e indulto, avanzata dal presidente Napolitano per rispondere ai rilievi della Corte europea per i diritti umani, sta provocando polemiche strumentali. Con […]
Fuoriluogo L’irruzione nel dibattito politico della proposta di amnistia e indulto, avanzata dal presidente Napolitano per rispondere ai rilievi della Corte europea per i diritti umani, sta provocando polemiche strumentali. Con […]
L’irruzione nel dibattito politico della proposta di amnistia e indulto, avanzata dal presidente Napolitano per rispondere ai rilievi della Corte europea per i diritti umani, sta provocando polemiche strumentali. Con il rischio che della situazione insostenibile delle carceri non si parli più e che si abbandoni il confronto sui possibili rimedi e sulle cose da fare subito.
Viene dunque a proposito la pubblicazione del documento elaborato dal Comitato Nazionale per la Bioetica, significativamente intitolato «La salute dentro le mura» e che si pone in continuità al precedente parere «Il suicidio in carcere» del giugno 2010. Il tema della salute è visto sotto l’aspetto etico della disparità da superare: i ristretti rappresentano un gruppo la cui salute è mediamente più compromessa di quella dei liberi, ancor prima di entrare in carcere. Questo svantaggio iniziale è poi aggravato da una pratica quotidiana di detenzione che produce sofferenza e malattia.
La condanna dell’Italia per trattamenti crudeli e degradanti da parte della Corte di Strasburgo ha svelato uno stato di illegalità e di violazione delle norme della riforma penitenziaria del 1975 e del Regolamento di attuazione del 2000. In questo quadro il passaggio di competenze sanitarie dall’amministrazione penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, avvenuto nel 2008, non ha ancora manifestato i suoi effetti nel riequilibrare l’accesso al bene salute tra i soggetti reclusi e i cittadini liberi.
Il superamento di una gestione «domestica» della sanità rispondeva ad un’istanza di trasparenza di un’ istituzione totale chiusa come il carcere, da realizzarsi con l’immissione di personale sanitario autonomo e con chiare priorità circa il bene salute da proteggere rispetto alle esigenze di sicurezza. Purtroppo una gestione troppo burocratica e una certa sudditanza psicologica hanno fatto spesso chiudere gli occhi quanto meno sui fattori ambientali della salute: in primo luogo su un quadro di condizioni igieniche sanitarie che provocherebbero la chiusura per qualunque esercizio commerciale. Eppure, l’emergenza del sovraffollamento non può trasformarsi in un alibi per non applicare norme e standard previsti. Solo un esempio: in decine e decine di carceri è presente ancora il bancone di separazione nei locali dei colloqui tra detenuti e famigliari. Ancora: in una percentuale altissima di istituti le finestre hanno schermature che impediscono la luce diretta con danni notevoli alla vista.
La salute dei detenuti è minata dalla limitazione dell’affettività e dei rapporti con la famiglia e i figli, perfino dall’assenza di tessere personali per le comunicazioni telefoniche, dalla mancanza di luoghi di socialità e di refettori per la consumazione dei pasti in comune. Le previste «camere di pernottamento» si trasformano in gabbie affollate all’inverosimile, con una coabitazione forzata per venti o ventidue ore al giorno.
Come ricorda il Cnb, rifacendosi alle raccomandazioni internazionali circa un «approccio globale» alla salute in carcere, il rispetto dei diritti umani, insieme a condizioni accettabili di vita carceraria, costituiscono le fondamenta del diritto alla salute.
Fra gli interventi nelle raccomandazioni finali del documento, è particolarmente urgente il varo della cartella sanitaria informatizzata, in modo da assicurare la continuità terapeutica in caso di trasferimenti e per garantire tempestività negli interventi d’urgenza. Infine, si individuano le aree chiave di intervento, specie la salute mentale, la prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo, dell’infezione da HIV, i diritti delle donne detenute.
Si tratta di un monito che aiuta il cambiamento.
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