La pandemia non ha solo messo in crisi i sistemi sanitari, ma con il suo procrastinarsi nel tempo (fino a divenire endemia) ha contribuito a travolgere i nostri modelli di vita, le forme istituzionali della sfera sociale, la dimensione costituzionale dell’agire collettivo, la pratica dei diritti. Di qui l’esigenza di una riflessione più approfondita e articolata sulle conseguenze strutturali e costituzionali prodotte.

UN IMPORTANTE CONTRIBUTO in questa direzione ci viene oggi offerto dal libro di Antonio Cantaro Postpandemia. Pensieri (meta) giuridici (Giappichelli, pp.192, euro 19). Il libro assume un dato di partenza difficilmente confutabile: la pandemia, nell’abbattersi sul mondo, ha disvelato appieno le patologiche fragilità dell’ordine economico e sociale sul quale si sono rette le sorti del pianeta negli ultimi trent’anni. Un mondo segnato dalla paura del futuro, da disuguaglianze crescenti, dagli alti livelli di disoccupazione, dalla pervasiva precarizzazione e povertà del lavoro. Collocato in questo quadro, il virus ha avuto il «pregio» di aver posto implacabilmente in evidenza la vita delle persone, la loro condizione, le loro storie: «storie dimenticate e rimosse, che la pandemia ha avuto il merito di portare alla ribalta. Storie di libero sfruttamento, di poteri arbitrari più che di libero arbitrio».

IL VOLUME di Cantaro si sviluppa a partire da lemmi ed espedienti dicotomici (stato di eccezione – stato di normalità; ripartenza – resilienza; politica – tecnocrazia; prendersi cura – governare; decostituzionalizzazione – digitalizzazione; libero arbitrio – libero sfruttamento; pandemia – sindemia) che contribuiscono a irrobustire la trama e l’articolazione dell’opera, senza tuttavia incrinarne il disegno complessivo.
Nell’ultima opera di Cantaro tutto si tiene all’interno di un impianto serrato e coeso che, pagina dopo pagina, tende sempre più ad assumere le forme e i contenuti di un accorato j’accuse sullo stato del mondo e sulla crisi di civiltà che ha investito l’Occidente.

L’AUTORE, nel corso dell’opera, non esita a individuarne coerentemente le cause. A cominciare dagli inediti modelli di «razionalità economica» che hanno nell’ultimo mezzo secolo permeato la vita politica e sociale delle società capitaliste: «una ’razionalità totalitaria’ che estende la logica normativa dell’interesse, della massimizzazione dell’utile, a tutte le condotte umane, ergendola a codice unico di intelligibilità del mondo… Se per il liberalismo classico l’uomo è il simmelliano ’animale che scambia’, per il neoliberalismo la più alta qualità umana è vivere in una condizione di competizione permanente», dove «l’impresa non è più la ’specifica istituzione dell’economia di mercato’. È ’l’istituzione generale della vita sociale’».
Un modello di modernizzazione il cui progressivo consolidamento rischia sempre più di insidiare le ragioni e le conquiste del costituzionalismo democratico del Novecento, del quale la Carta repubblicana del ’48 è parte integrante.
Ne discende per Cantaro che l’etica neoliberale non è più tollerabile sul terreno economico, sociale, costituzionale. È necessario pertanto tornare a rivendicare, dopo anni di perversioni tecnocratiche, il primato della politica sull’economico. E su queste basi provare a ridefinire la fisionomia e l’agire stesso della sfera istituzionale. Sia a livello statuale («lo Stato deve cambiare volto»). Sia a livello sovranazionale («l’Europa deve cambiare volto»). Un passaggio, ritenuto dall’autore, essenziale per affrontare le grandi e cruciali sfide che ci attendono nel prossimo futuro: dalla conversione ecologica alla digitalizzazione dell’economia e della società.

MA SE È FACILE RISCONTRARE nel senso comune (così come in questi mesi plasmato dalle oligarchie mediatiche) una certa enfasi per la «svolta salvifica» in atto in Italia e in Europa (Pnrr e non solo), di analoghi intenti celebrativi non vi è invece traccia nel libro di Cantaro. Un libro che, seguendo un iter argomentativo incalzante e puntuale, non esita a registrare criticamente le paralizzanti complessità e le innumerevoli contraddizioni sottese all’attuale fase storica. Per Cantaro le incognite (politiche, sociali, istituzionali) alimentate dalla pandemia continuano ancora oggi ad essere tutte aperte e foriere di possibili e più gravi tensioni.
Per ciò che concerne l’Europa molto dipenderà dal ruolo che essa vorrà ritagliarsi sul piano globale e nei confronti dei propri Stati aderenti. Sapendo però che la soluzione da perseguire non potrà più essere il «minimalismo politico» di ieri. E nemmeno la «politica dall’alto» svincolata da ogni forma di legittimazione democratica, che pare invece animare il dibattito odierno all’interno dell’Ue. Una soluzione, quella dell’Europa politica e sovrana, certamente nuova e in grado di abbattere vecchi tabù e sedimentati retaggi. Ma tuttavia inadeguata a riscattare il processo di integrazione dai suoi limiti e dalle sue contraddizioni. Perché non può esserci Europa senza democrazia e senza umanesimo. Così come «non c’è umanesimo, verità, giustizia – conclude Cantaro – senza ’grande politica’».