Come sempre di questi tempi, piovono le classifiche dei libri più belli dell’anno: dal New York Times a Le Monde, una tradizione consolidata vuole infatti che a dicembre ogni pagina culturale di un qualche rilievo imponga ai suoi collaboratori il rito di scegliere i titoli che dovranno restare nella memoria anche nei mesi a venire.

Un esercizio meno innocuo di quanto potrebbe apparire, a giudicare dalla polemica che si è accesa in questi giorni in Spagna all’indomani della pubblicazione su Babelia, il supplemento letterario del País, dell’elenco dei cinquanta testi più importanti usciti nel 2021.

Stilata da 75 esperti, la lista mette al primo posto i Diarios del narratore spagnolo Rafael Chirbes, scomparso nel 2015, e al secondo Hamnet della nordirlandese Maggie O’Farrell, ricostruzione romanzata della vita del figlio di Shakespeare, morto undicenne nel 1596. Seguono fra gli altri, nei primi dieci, Tomás Nevinson di Javier Marías, Yoga di Emmanuel Carrère e Il tramonto della democrazia dell’americana Anne Applebaum. Insomma, come scrive nella nota iniziale Javier Rodríguez Marcos, «un riassunto letterario del 2021» all’interno del quale, «in un mondo che sembra disfarsi ogni notte e ricostruirsi ogni mattina, abbondano la prima persona, il senso di cataclisma imminente (politico ed ecologico) e uno sguardo altamente critico sul passato».

A poche ore dall’arrivo in edicola di Babelia, però, Manuel García, docente e ricercatore in giornalismo all’università di Malaga, ha lanciato una raffica di tweet tutt’altro che benevoli verso le scelte degli esperti. Nel primo tweet, Garcia (che con due colleghi – Bernardo Gómez, sempre di Malaga, e Juan García della University of California, Davis – studia il ruolo delle donne nelle classifiche editoriali) rileva «la predominanza di uomini anziani (e spagnoli)». Il secondo sottolinea ancora l’età degli autori dei primi tre libri segnalati: «…Chirbes (deceduto), Marías (70 anni) e Maggie O’Farrell (49 anni). Non è una coincidenza…». Il terzo, infine, segnala che in tutto l’elenco «il numero delle scrittrici spagnole corrisponde a zero!».

E naturalmente è stato subito scompiglio, anche perché nella sua ricerca Garcia ha rincarato la dose: «Quest’anno ha vinto un uomo, ed è un uomo pure il terzo. Tra i primi cinque, gli uomini costituiscono l’80%. Nei primi otto, il 75%. Nella top 25, il 64%. La parità emerge solo dal trentesimo posto in poi». Eppure è lo stesso studioso a riconoscere che rispetto ai supplementi Cultura/s (del quotidiano La Vanguardia) e El Cultural (collegato a El Mundo) Babelia è quello che ha dato più visibilità alle donne negli ultimi dieci anni.

Chiamata a dare il suo parere dallo stesso País, la scrittrice Nuria Nadari ha ammesso di non avere fatto caso inizialmente al pregiudizio di genere, ma di essersi posta alcune domande: «In base a quali criteri vengono scelti i migliori?». E di essersi risposta che «una giuria … premia la sua visione del mondo, quella che meglio rappresenta le sue idee». E oggi, «indipendentemente da quante donne ci siano nella lista o da quante siano nella giuria, l’immaginario del mondo continua a essere maschile».

Attenzione, però: «qualsiasi analisi numerica mette a tacere l’ambivalenza che fa parte di ogni identità» conclude Nadari, invitando alla lettura di uno dei cinquanta titoli segnalati da Babelia: Huaco retrato, di Gabriela Wiener, «la cui complessa eredità – donna, scura di pelle, peruviana, spagnola? – è il soggetto del suo eccellente romanzo».

E dunque, abbasso le classifiche, abbasso i bilancini? Ma soprattutto: quando leggiamo un libro, quanto deve contare per noi la vita (il sesso, l’età, l’identità…) di chi lo ha scritto?