È anche un romanzo, e parzialmente un saggio, ma soprattutto una memoria intima che incrocia il referto storico, il trattatello filosofico e un ricco repertorio di arte contemporanea, l’eccentrico e originale esordio di Benedetta Fallucchi, giornalista di fatti italiani per uno dei maggiori quotidiani giapponesi.
L’oro è giallo (Hacca, pp. 158, euro 15) è, infatti, una narrazione godibile e allo stesso tempo inafferrabile che sfugge volutamente ai generi e indaga, nella vita quotidiana e nella storia, nella società così come nella memoria della protagonista, il rapporto problematico, fisico e psichico, erotico con la vescica, quello corporale e simbolico tra noi e il mondo.

LE SCENE di vita quotidiana della maternità incrociano i tempi delle fragole dell’infanzia, i piccoli traumi della crescita, sono giustapposte nell’immaginazione a illustrazioni, come quelle del Breviario Grimani, un codice fiammingo, libri di letteratura come Libro d’ombra di Tanizaki, insieme alle tante evocative opere d’arte che si succedono nei quadri che seguono ogni capitolo, quelle di Duchamp, Cattelan, Regina José Galindo, Andy Warhol con le sue Oxidation, Te Poipoi di Gauguin, le opere della scultrice Kiki Smith, o le Pissing Women di Sophy Rickett, che ha fotografato tre donne mentre fanno pipì in tre angoli di strade londinesi, e ci dicono di come «l’urina ricorra nell’arte contemporanea», che è un libro nel libro e crea una sorta di apparato dell’immaginario di chi narra.
Il racconto è anche molto fisico, corporale, abilmente descrive orifizi, cavità, come se gli ureteri, l’uretra fossero «un organo ambiguo», come viene descritto, «forse persino ipocrita. Un diaframma tra il dentro e il fuori: il flusso liquido che l’attraversa, le escrezioni che attraversano la soglia del corpo».
La minzione diventa l’ossessione del libro e della protagonista, la quale come gli Inuit crede che la vescica sia la sede dell’anima, «uno straccio da tenere asciutto, uno strumento di cui avere pieno controllo», e il suo bisogno diventa una urgenza che si esprime nei luoghi abitualmente deputati, il bagno privato di casa raggiunto di notte, nel bianco dei sanitari e delle piastrelle, oppure quello del pronto soccorso di un ospedale, invece che un alberghetto a conduzione famigliare in una stazione sciistica durante una settimana bianca, o quella di una stazione balneare dove la protagonista è al presente in vacanza con il figlio Nicola mentre il marito Giovanni si trova al lavoro su un set cinematografico per dirigere un documentario o un film, racconti ed esperienze vissute tra ieri e oggi.
La «sindrome della vescica timida» o paruresi, un disturbo d’ansia sociale, una frustrazione viscerale dovuta all’impossibilità di liberarsi da una vergogna, da una oppressione, la tarmano, perché come recita una citazione di Leslie Kanes Weisman posta sopra un disegno di Monica Bonvicini, «i ragazzi vengono allevati nella nostra società per essere spazialmente dominanti… Le ragazze vengono cresciute nella nostra società per aspettarsi e accettare le limitazioni spaziali».

«DIVENTARE ADULTI significa controllare i propri orifizi», ci avverte in un passo la protagonista, il confine tra apparato genitale e urinario è molto labile, sono anatomicamente correlati, orinare è quindi un bisogno corporale ma anche conformato ai precetti e alle convenzioni sociali, ma a volte «bisogna che il corpo esulti» come canta Franco Battiato ne La canzone dei vecchi amanti, quando in un colpo di scena del libro si libera, vive finalmente la vertigine dei sensi.