Le città , che sono i luoghi delle grandi trasformazioni, in cui dal basso premono coloro che sfuggono alla miseria e dall’alto trionfa la grande ricchezza, sono anche i luoghi dove con più evidenza si manifesta la forza o la debolezza delle culture politiche. Per questo meriterebbe una discussione approfondita il voto di Roma, dove si affronteranno al ballottaggio una erede di Casaleggio ed un erede di Pannella.

Al fondo sono ambedue espressione di quella trasformazione delle culture politiche caratterizzata dalla affermazione delle libertà individuali e delle relazioni di comunità; dal rifiuto della mediazione politica e dei partiti in nome della immediatezza dell’agire sociale e della democrazia diretta dei cittadini; dal rovesciamento del vecchio sistema di potere, ma dal mantenimento della struttura economica e produttiva. Si deve distribuire meglio la ricchezza, contro l’1% dei super ricchi, ma il governo delle imprese deve rimanere ai tanti grandi e piccoli Marchionne ed il lavoro autonomo deve stare al centro della scena politica e sociale con le sue rivendicazioni contro i “privilegi” dei lavoratori sindacalizzati.

Radicali e Pd hanno esultato per l’abolizione dell’art 18 e per la messa ai margini del sindacato; il M5S ha fatto opposizione più per tenere alto lo scontro con il governo che per convincimento , essendo il suo programma economico tutto centrato sulla piccola e media impresa e la sua politica sociale sul reddito di cittadinanza. Ciò che manca, nella contesa tra vecchi e nuovi ceti medi, tra la ferocia dei manipolatori delle paure e l’inconcludenza del politically corret, è una sinistra che sappia misurarsi con la catastrofe che in questi anni ha colpito il lavoro.

Sono cresciuti impoverimento, incertezza nel futuro, declassamento, in particolare per gli operai. Si sentono scivolare in basso anche gli impiegati ed una parte del lavoro autonomo, mentre liberi professionisti, imprenditori e ceti medi affluenti affollano l’ascensore sociale. Da ciò sono venute potenti ripercussioni culturali e politiche, che la sinistra dei movimenti, come del resto la sempre più esangue socialdemocrazia, non ha più saputo interpretare. Fuori moda il conflitto capitale-lavoro, nell’ebbrezza del fare per progredire o nella felicità della decrescita, non c’è stato più spazio per i diritti dei lavoratori, messi nel grande mare degli ultimi, di cui si può occupare un Papa “comunista”.

La sinistra dei movimenti non si è mai interrogata del perché un operaio può essere iscritto alla Fiom e votare Lega Nord o M5S, come non sa capire perché se non c’è Sanders gli operai americani potrebbero votare Trump o del perché in Francia, se alle lotte non ci sarà sbocco , chi ha fatto sciopero con la Cgt potrebbe votare Marine Le Pen. L’orizzonte rimane, per tutte le forze politiche da destra a sinistra, la “crisi della classe media” che fa scrivere nello stesso giorno dei risultati elettorali al Corriere delle Sera che a pagare le tasse in Italia sono non i lavoratori dipendenti e i pensionati, ma soprattutto coloro che hanno un reddito da 50.000 euro in su e alla Repubblica che per colpa dei sindacati, della loro idea di garantire con i contratti uguale remunerazione per uguale lavoro, si vive peggio a Milano che a Ragusa e, perché no, a Reggio Emilia che a Reggio Calabria.

Non c’è da stupirsi che questo isolamento, questo continuo sentirsi messi ai margini, generi in chi lavora, rincorrendo la produttività o sopravvivendo nella precarietà, rabbia, abbandono della politica, astensionismo, protesta, a cui la sinistra dei movimenti non sa cosa proporre, se non qualche tardiva parola di condivisione per poi tornare a litigare intorno al magro bottino del 4% dei voti; a proporre un nuovo nome a un vecchio ceto politico.

Si tratta di mettere mano a un lungo lavoro di ricostruzione culturale e di promozione sociale , di formare una nuova generazione politica che voglia il cambiamento dello stato di cose presente e sappia come farlo , insomma una “sinistra del lavoro”, che difenda la Costituzione non tanto e solo per le garanzie democratiche, che con le riforme il governo vuol manomettere, ma perché essa stabilisce le condizioni per la promozione a classe di governo dei lavoratori.