Oggi si celebra in tutto il mondo la «giornata del teatro». Che è rimasta l’ultima arte «dal vivo» (a parte i concerti musicali che impongono una loro ritualità piuttosto rigida, nelle grandi come nelle piccole dimensioni). La celebrazione però, come avviene per altri fenomeni culturali, diventa l’occasione per qualche riflessione, o anche semplice osservazione.
Proprio da noi, a Roma capitale, si è consumato lo spettacolo più incredibile: il colpo di mano della destra, che a differenza di altre occasioni si è presto «pacificato» in una sorta di spartizione forzata di potere dove il maggior contributore dell’ente teatrale pubblico (il comune) ha accettato disordinatamente di moltiplicare cariche e ruoli per l’insipienza con cui aveva condotto le trattative con le altre forze politiche.
Non ci sarebbe quindi, almeno da noi, granché da festeggiare, se poi si riesce a mandare ai vertici le figure meno adatte e più discusse, che da anni si muovono, con rigore scientifico (questo sì) da una direzione a un’altra, con un rigore degno di quello ordinato dal medico.

PER IL RESTO, cioè il teatro quello vero, quello che si fa in palcoscenico per emozionare o istruire lo spettatore, i festeggiamenti per la giornata sono piuttosto modesti di motivazioni. Tra l’altro sono a scadenza diverse altre direzioni importanti nel nostro paese, e l’aria dominante fa intravvedere «cambi di scena» poco rassicuranti.
Del resto, non si sa per sola responsabilità della pandemia che abbiamo attraversato, è in atto una rapida trasformazione di quanto i palcoscenici possano offrire, o per secoli abbiano offerto. Nuovi codici linguistici si vanno sostituendo alla millenaria arte della rappresentazione (una storia, degli attori che la porgano al pubblico, delle invenzioni che allarghino la scena fuori dal palcoscenico).
Negli annunci che affollano i tamburini sui giornali ormai da tempo prevalgono rispetto ai titoli, proposte di attività parallele, corsi di formazione (teatrale ovviamente), promozioni drammaturgiche di situazioni molto private. Tutte motivazioni rispettabili, ovviamente, ma che spostano, se non ridimensionano, il senso del teatro. Più che da festeggiare la giornata, verrebbe da aspettare con più o meno curiosità, cosa ci attende di vedere ancora (anche perché i meccanismi di promozione e finanziamento del teatro restano inesorabilmente tradizionali quanto «antichi»).