Un’energia dirompente dalla scena si espande, dinamica e pulsante, verso gli spettatori seduti sulla gradinata del teatro della Civica Paolo Grassi di Milano. La performance si intitola Meteorologia ed è il risultato di un lavoro sulla capacità della danza di rendere visibile un luogo di relazione esterno al corpo, uno spazio di sperimentazione, in cui essere pronti a scoprire chi si incontra.

Michele Di Stefano, coreografo e performer fondatore del gruppo mk e Leone d’Argento della Biennale Danza 2014, ha curato il progetto insieme al musicista e performer Biagio Caravano, altro nome cardine di mk; in scena i diplomandi del Corso di Teatrodanza della Civica, coordinato da Marinella Guatterini. Uno stralcio dalla motivazione del Leone d’Argento a Di Stefano dà una suggestione per entrare nel mondo di questo artista italiano: «per aver introdotto attraverso la coreografia un corpo vibratile e musicale coincidente con l’immagine dell’uomo in continua osservazione del paesaggio e della geografia. Per aver scelto il linguaggio della danza allo scopo di dar luogo a camminamenti antropologici che ci lasciano intuire la presenza di tribù organizzate per posture, dinamiche irregolari e decostruzione dei perimetri spaziali».

Ed ecco i giovani della Paolo Grassi: arrivano nel buio, in un silenzio che sarà presto invaso dalla musica tra LCD Soundsystem e field recording. Sono dodici e il loro è un moto collettivo potente, fatto di singole dichiarazioni, sfoderate, appunto, per decostruzioni, dinamiche irregolari tali da sembrare disordinate, ma è apparenza; una danza di cui ogni corpo è una scheggia che trafigge lo spazio, aprendolo a una nuova visione.

È una danza elettrica segnata da braccia che ruotano proiettando il corpo verso il fuori, da gambe che con slanci chiusi da vigorosi colpi dei piedi evidenziano il territorio che il corpo attraversa, una mistura di impulsi e di moti diversi nei singoli corpi, eppure dichiaratamente partecipi a un tessuto coreografico che trasforma il solo in moltitudine.

La potenza della gioventù è trascinante. Tra i dodici, abbigliati in mutande e magliette colorate, un maschio si distingue su tutti: dalla testa ai piedi è dipinto di nero, brillano nel volto solo i denti e il bianco dell’occhio. Presenza primigenia, esaltazione vitale della diversità, qualcosa di incancellabile dal mondo di cui facciamo parte, che lo si voglia o no. Vediamo nel segno coreografico e performativo di Di Stefano e Caravano e dei ragazzi di Meteorologia quel corpo politico del danzatore di cui ci ha parlato la scorsa settimana Virgilio Sieni.

L’attenzione dei danzatori allo spazio esterno, a ciò che è fuori dal proprio singolo corpo, a chi avviciniamo e a chi ci avvicina, rimette al centro non l’esecuzione per l’esecuzione, ma il corpo come via di conoscenza e trasformazione, il corpo come osservatore dei fenomeni fisici, «corpo meteorologo» quindi, richiamandoci al titolo, perché danzante.
Non è un caso che estratti di Meteorologia abbiano abitato, sempre a Milano, il padiglione vetrato del giardino di Villa Necchi Campiglio, creando all’interno della serra un ambiente coreografico.

Uno spazio rappresentativo del dialogo tra danza e mondo esterno nello sguardo incrociato tra i performer e il pubblico fuori dalle vetrate.