Ai primi del XII secolo l’anonimo cavaliere italo-normanno autore dei Gesta Francorum partiva dalla considerazione del valore dei turchi in battaglia per proporre la tesi – vista anche l’assonanza fra teucri e turci – d’una loro comune discendenza con i franchi e i romani dall’antico ceppo troiano: il che li avrebbe opposti agli infidi graeculi, ai vili e sleali bizantini, che dei normanni erano nemici, dal momento che l’insediamento dei cavalieri francesi nel Mezzogiorno italiano era stato una costante minaccia per Costantinopoli.

EGLI CONCLUDEVA che solo la loro condizione d’infedeli ostava a farne un grande popolo: una constatazione che già anticipava quella di Pio II nella Lettera a Maometto II composta nel 1461 non per essere inviata al conquistatore ottomano, ma come critica verso i principi cristiani che non si decidevano alla crociata. Tuttavia, che i turchi potessero collegarsi alle genti di Enea risultava inaccettabile a molti umanisti, i quali rinforzavano il loro disprezzo nei confronti dei nuovi infedeli per il fatto che essi avevano annientato i greci di Bisanzio, eredi della cultura ellenica.

Non ai troiani essi potevano essere accostati, quanto piuttosto ai barbari sciti o ai nemici per eccellenza della Grecia e di Roma antiche: cioè ai persiani. Vi erano tuttavia dei pareri «eretici» rispetto alla maggioranza, come quello espresso da una singolare figura, Annio da Viterbo, intellettuale alla corte pontificia verso la fine del secolo, che adottava una «terza posizione» tra profetismo gioachimita e istanze antigreche: secondo lui i turchi, in quanto musulmani, sono i seguaci dell’Anticristo, ma d’altro canto il crollo di Bisanzio elimina per sempre gli scismatici e suona quale annuncio di futuri trionfi per i cristiani. Percorso da questi sentimenti, Annio pubblicava nel 1480 il De triumphis; tuttavia la sua fama è legata a un testo scritto diciotto anni dopo, le Antiquitates, che riscossero uno straordinario successo, testimoniato dal numero delle stampe e traduzioni in italiano e in inglese. Il viterbese affermava di aver scoperto antichissimi testi latori di una sapienza orientale ben precedente rispetto a quella di greci e latini, a proposito della quale sino ad allora si era solo favoleggiato.

Alcuni fra questi testi – quelli del caldeo Beroso e di Manetone – gli sarebbero stati ceduti, per soldi, da un armeno a Genova; altri – di Catone, Fabio Pittore e Senofonte – li avrebbe invece ritrovati in un fondo di manoscritti conservato a Mantova.
Tuttavia, solo dalla seconda metà del Cinquecento le presunte scoperte di Annio vennero messe progressivamente in dubbio, e gli scritti dei suoi autori definiti apocrifi prima, veri e propri falsi poi; così come falsa era la stele con geroglifici, da lui stesso fabbricata, che avrebbe dovuto provare l’origine egizia di Iside, presentata da Beroso caldeo quale civilizzatrice dell’Italia e in particolare della natìa Viterbo. Quello di Annio è un falso, o un insieme di falsi, straordinario e affascinante. Lungi dall’essere un unicum, tuttavia, si iscrive in una tradizione di grande ricchezza e lunghissima durata, come si evince dalla lettura del poderoso volume di Paolo Preto, Falsi e falsari nella Storia. Dal mondo antico a oggi (Viella, pp. 620, euro 32). I falsi sono in effetti un argomento importante nella ricerca storica, perché rivelano spesso più dei documenti «veri» comunque rappresentano delle costruzioni culturali piene di sfaccettature e interessanti come gialli.

PRETO chiama il Medioevo «l’età dell’oro» dei falsi, titolo meritato se pensiamo alla Donazione di Costantino, al commercio di reliquie, alla «invenzione» della Sindone, tutti temi che trovano spazio nel libro. Ci sono falsi che hanno un valore culturale, come le Antiquitates di Annio, culminando in quelli letterari che chiudono il libro, che comunque dedica ampio spazio all’età moderna e contemporanea: largo spazio è dato, ovviamente, ai falsi antisemiti, a partire dai celebri Protocolli dei savi di Sion.
Possiamo considerare Falsi e falsari nella Storia quasi un manuale sul tema, nel senso che riesce a dare operazione non facile, una bella panoramica di un tema che vive di pieni e di vuoti: alcuni casi, come i Protocolli o la Donazione o ancora la Sindone, sono stati investigati già da molti, mentre altri risulteranno agli occhi del lettore come nuovi e sorprendenti.