È una dichiarazione di appartenenza la scelta del nome che Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande si sono dati iniziando il loro percorso teatrale. Da quel 1991, partiti da Rimini, i Motus hanno sviluppato un cammino segnato da spettacoli che li ha collocati nell’alveo dei gruppi più significativi della ricerca italiana, per la loro profonda sensibilità nel coniugare sperimentazione dei linguaggi e tematiche cocenti della nostra contemporaneità. E questo Panorama, che arriva al Teatro Vascello (per Romaeuropa festival, fino a stasera), raggiunge il livello della necessità, andando a scavare nelle radici di un luogo simbolo delle contraddizioni dell’Occidente, nel tessuto sociale della multietnica New York City, culla di quel nomadismo artistico che nello storico spazio off-off Broadway de La MaMa ETC trova una delle espressioni più consolidate di interculturalità intesa come conoscenza, scambio e arricchimento reciproco.

PROPRIO la collaborazione con l’Experimental Theatre Club, fondato da Ellen Stewart, e la sua Great Jones Repertory Company, dà vita a Panorama. Per diventare metafora del movimento di genti e popoli che ha contraddistinto la presenza dell’essere umano sulla Terra e che oggi governi oscurantisti e «sovranisti» additano come fenomeno da arrestare, in Italia come negli Usa, vedi le trucide menzogne lanciate nelle ultime ore dall’inquilino della Casa Bianca contro «l’orda di invasori» provenienti dall’America Latina.

SPETTACOLO complesso per portata drammaturgica – elaborata da Daniela Nicolò con Erik Ehn, che mette in gioco le biografie dei sei attori coinvolti – e visiva, con la moltiplicazione di immagini video, in presa diretta e registrate, che crea una realtà multipla di grande impatto anche emotivo. Se nella prima parte i partecipanti all’happening si presentano come identità distinte, ognuno con il proprio viaggio compiuto per raggiungere il teatro-casa di Ellen Stewart, nello scorrere delle scene si produce una mescolanza incandescente di vissuti e di generi. Appartenenti a generazioni diverse, gli attori si alternano al centro della scena denudando la propria natura, paure e gioie. Accade che la maggiore, classe 1945, con la sua sorprendente fisicità, torni – in quanto afroamericana – allo schiavismo, prima di lasciare il posto al giovanissimo domenicano, incredulo di trovarsi a Manhattan e di essere uscito dal Bronx, dove vive la sua famiglia. Un viaggio breve ma non scontato, il suo, dove il sogno americano si infrange su discriminazioni sociali diffuse. Gli fa eco la ragazza turca con il permesso di soggiorno, finalmente, ottenuto per essere attrice lì, a La MaMa, insieme, ad altri attori figli di coreani e vietnamiti, scappati da quelle guerre.

UN CROGIUOLO meraviglioso di etnie e culture, sono tutti migranti. Tratti somatici mescolati rimbalzano sugli schermi, al centro e sui due lati, mentre ferve l’attività ai tavoli posti ai lati della scena. Il mondo intero si compone. Fino a rendere la sostanza di Panorama un grido politico per il diritto della persona ad essere ciò che sente di essere, lì dove vuole.