Cercare l’oggi nella musica. Certo è che le opzioni sono innumerevoli. Germano Scurti, un solista di fisarmonica nonché compositore, sa come far avvicinare il suono della fisarmonica alle varie inflessioni dell’elettronica, dal vivo o no. Sceglie il radicalismo in una raccolta intitolata Fly (Stradivarius), ma un radicalismo che si intrattiene con alcuni brani del passato. Così illustra una capacità di esperire la scrittura dell’oggi anche dove scritture lontane nel tempo rivelano la propria propulsività. Ecco come agisce genialmente Scurti: insieme a notevoli opere di Giulio Colangelo, Daniele Ghisi, Pasquale Corrado, Agostino Di Scipio e se stesso, interpreta opere di Bartók e di Bach. Funziona.

Ci si sente nell’oggi. Anche perché c’è un gioiello come Hyperion di Colangelo, dove la fisarmonica insieme all’elettronica è come un raggio sonoro portatore di incanti e di trasalimenti. La pianista Ilaria Baldaccini in un cd Ema Vinci compie suonando la serie completa di Corde e martelletti di Alessandro Solbiati un’operazione di contemporaneità divertita e didattica. I 100 pezzi destinati ai giovani studenti evocano bartokismi lievi o ingaggiano piacevoli corpo a corpo col piano, così rendono fluida e godibile tutta la materia del «come suonare in modo nuovo».

Roberto Dani, percussionista e animatore dell’ensemble Forme Sonore, si mantiene nell’esoterico in Tracce (autoprodotto), sceglie «l’indicibile» con tre percussioni e un contrabbasso. Vuole stare lontano da un oggi troppo imperscrutabile. Manuel Zurria, immenso flautista, con una raccolta in 3 cd intitolata Fame di vento (Ants) riprende il suo perenne amore per il minimalismo suonando ben 12 autori, i più noti sono Alvin Lucier e Giorgio Battistelli. Detto un po’ sbrigativamente, la sua scelta risuona piuttosto cerebrale. Uno Zurria severo, magistrale e poco conversativo.

Marco Ariano, percussionista squisitissimo, si fa presentare in From Dance (to Dance)? (Folderol) da una vera coorte di filosofi per illustrare sedute di improvvisazione totale, in trii variabili, che sarebbero state stimolanti ai tempi delle etichette Fmp e Icp, ma vuole ravvivare una lingua che non si parla più con la stessa possibilità di relazione creativa. Gidon Kremer, violinista superstar, il miglior interprete a suo tempo di pagine di Nono, gioca con Songs of Fate (Ecm) la carta impossibile sul tavolo dell’oggi. È un bluff o no? I suoi autori novecenteschi e oltre sono ebrei e baltici, la delizia melodiosa (folk e «antica») dei lavori per violino e archi o per voce e archi è solo consolatoria? Viene proposta come vivente ma se qualcuno va a «vedere»? Qui girano soprattutto domande.