In contemporanea in trentacinque paesi del mondo esce oggi il libro di Bill Gates Clima. Come evitare un disastro (La Nave di Teseo, pp. 400, euro 22, traduzione di Andrea Silvestri). Il fondatore della Microsoft, con Paul Allen nel 1975, ha dedicato gli ultimi dieci anni alle ricerche sul riscaldamento globale e si è convinto che se non azzereremo le emissioni di CO2 entro il 2050 sarà una catastrofe. Per questo con la Bill & Melinda Gates Foundation che si occupa di progetti per migliorare le condizioni di vita nel mondo ha lanciato Breakthrough Energy, un programma per commercializzare energia pulita e altre tecnologie con lo scopo di risolvere il problema delle emissioni di gas serra.

IL LIBRO È UN ACCORATO APPELLO a fare presto sul clima che fa concorrenza alla radicalità di Greta Thunberg, sulla denuncia del rischio. Non possiamo dire altrettanto, però, circa le strategie promosse. Sebbene vi si trovino i dati che dimostrano che il tasso di biossido di carbonio immesso nell’atmosfera abbia cominciato a crescere già dal 1850 quando la prima rivoluzione industriale si era diffusa in occidente e poi si sia impennato dopo la Seconda Guerra Mondiale, nulla si dice sul modello di sviluppo industriale che ha creato l’inquinamento. La strategia di azzeramento delle emissioni non è mai associata al sistema di produzione basato sui consumi: guai a modificare gli stili di vita promossi dal capitale. «Tutto ciò che è reale è razionale» per Gates che in più punti manifesta una fiducia quasi religiosa nella capacità della tecnologia energetica – che ha sostanzialmente creato il problema – di risolverlo.

LE FONTI DELL’INQUINAMENTO identificate sono: produzione industriale (cemento acciaio, materie plastiche, 31%), produzione di energia elettrica (27%), agricoltura e allevamento (19%), trasporti (aerei, camion, navi mercantili, auto, 16%), riscaldamento e condizionamento (7%). In questa distribuzione non è presente l’industria informatica di cui la sua impresa è parte rilevante, perché non ricade direttamente in nessuna delle categorie identificate, eppure questo comparto pesa già oggi per il 3.7% del consumo energetico mondiale e la sua tendenza è in costante aumento, secondo una stima rappresenterà il 14% del totale nel 2040. Per i dispositivi sono indispensabili, inoltre, materiali molto inquinanti: plastiche, acciaio e metalli preziosi e rari che poi non vengono sempre correttamente riciclati. Secondo un rapporto del The Shift Project, dal titolo Lean ICT – Towards digital sobriety del marzo 2019, cioè prima della pandemia, continuiamo a sottostimare il peso dell’impatto energetico inquinante del settore del digitale, a causa della sua miniaturizzazione, invisibilità e virtualità.

Viene quindi spontaneo chiedersi perché prima di dare lezioni a tutto il mondo su come risolvere il problema del riscaldamento globale, Gates non si dedichi a ridurre l’impatto energetico di Microsoft, uno dei tre principali sistemi operativi mondiali, responsabile per l’obsolescenza programmata di molti computer oltre a essere il secondo principale attore nel campo del cloud computing coi suoi server Azure, dopo Amazon Web Services (Aws) – uno dei settori del digitale a maggior intensità energetica. Dal rapporto Click Clean del 2017, in collaborazione con Greenpeace risulta che solo dal 2014 Microsoft abbia introdotto un piano per la green economy in azienda e solo un terzo circa del suo consumo energetico derivava fino ad allora da fonti rinnovabili, mentre gli altri due terzi dipendevano da carbone, gas naturale o nucleare.

SUL NUCLEARE LA POSIZIONE di Gates è molto diversa da altri ambientalisti. È convinto che si tratti di una fonte energetica pulita. Non si tira indietro nemmeno nell’illustrare, sia pure brevemente, i progetti di geoingegneria che promettono di intervenire con tecnologie che dovrebbero modificare il clima direttamente opacizzando l’aria o costruendo artificialmente nubi riflettenti al fine di ridurre il calore del sole.

NONOSTANTE LE PERPLESSITÀ sul progetto climatico di Gates, il libro è molto rilevante. È un’occasione per guardare alla strategia industriale di Microsoft. Per mettere un computer su ogni tavolo fu necessaria la collaborazione e lo sfruttamento di molte risorse a fondo perduto investite dallo stato. Gates sostiene che il mercato non basti per affermare innovazioni rivoluzionarie. Sono gli stati a investire sulle tecnologie dirompenti, a produrre l’offerta e a rappresentare la principale domanda iniziale per la loro diffusione.

Il secondo motivo è che permette di comprendere che ormai la lotta al riscaldamento globale stia diventando un business competitivo e redditizio all’ombra delle sovvenzioni e degli investimenti pubblici in occidente, e non solo. Per la pietra filosofale che – al netto di un indiscusso aumento di richiesta energetica – ci consentirà di risolvere il problema delle emissioni inquinanti, c’è ancora da aspettare, mentre il nuovo mercato dei dispositivi eco è già in pista in attesa che gli stati finanzino la domanda con incentivi e disincentivi adeguati. Gates ormai multimiliardario non vuole perdere nemmeno questa occasione di business, stavolta a favore dell’umanità.

AI COMUNI CITTADINI resta un dubbio. Perché Gates cerca di occupare tutte le posizioni disponibili? Perché non si astiene – dopo essere diventato ricco senza porsi problemi di inquinamento – dal dare lezioni e consigli paternalisti a elettori, aziende, stati e enti locali su come contrastare il riscaldamento globale? Sarebbe auspicabile lasciare ad altri qualche parte libera, magari secondaria, da recitare nel teatro economico ed energetico del pianeta.