La diffusione di analisi e ironie (spesso giustificate) sul ‘complottismo’, ora concentrate su no-vax e no-pass ma ricorrenti anche su altri fenomeni, rischia di far perdere di vista un fatto: la comprensione del potere e la fascinazione per distopie cospirative non sono la stessa cosa.
Naturalmente, il potere non è un’entità divina che tutto conosce, tutto prevede e tutto piega alla propria volontà. Ma il potere esiste, è concentrato in settori ristretti della società e oltre a una dimensione orizzontale (quella della dialettica tra dominanti e subalterni) ne ha una verticale, di ‘comando’ (complesso, stratificato, ma pur sempre comando), sulla società.

Le strategie del potere sono parte delle dinamiche politiche e sociali. Con strategia si intende qui una “forma d’azione finalizzata a raggiungere obiettivi funzionali a difendere interessi sociali”. I mezzi di comunicazione principali definiscono ‘complottismo’ ogni tentativo di individuare le forme d’azione del potere (per esempio i legami tra economia e politica), che è invece essenziale per pensare e agire politicamente.
Una strategia delle élite è stata visibile, per esempio, nel caso della caduta del secondo governo Conte: i protagonisti (da Renzi, a Confindustria, ai loro media) ne parlavano esplicitamente già un anno prima, la annunciavano.

Ora ne sta emergendo un’altra: la costruzione di un nuovo equilibrio di governo di medio periodo basato su Partito democratico, Forza Italia, area centrista (Renzi e Calenda) e magari la parte ‘governista’ della Lega guidata da Giorgetti. Il M5S potrà far parte di questo equilibrio se proseguirà il suo quasi-assorbimento da parte del Pd, altrimenti si cercherà di renderlo ininfluente (con il suo aiuto).
Per chi ha questa prospettiva, dopo Draghi dev’esserci ancora Draghi, in persona (alla presidenza del consiglio, anche dopo le elezioni politiche, o a quella della Repubblica) o inteso come Agenda Draghi (fortemente sovrapposta a quella di Confindustria) e come metodo di governo basato sulle larghe intese.

Come nel precedente di Conte, non c’è bisogno di inclinazioni complottiste o doti divinatorie per cogliere questo tentativo: ne parlano insistentemente gli editorialisti dei principali quotidiani nazionali, gli onnipresenti opinionisti televisivi ed esponenti politici di primo piano (come Brunetta) anche di centrosinistra. Se questa prospettiva sia destinata a realizzarsi dipende principalmente dal Partito democratico, che ne sarebbe il soggetto centrale.
Il Pd ha considerato la sua vittoria elettorale nelle grandi città una conseguenza della sua piena adesione al governo e all’Agenda Draghi, con argomenti e dichiarazioni che lasciano trasparire un sostegno che, lungi dall’essere forzato, appare quasi una collocazione strategica.

L’alleanza con il M5S è invece meno strategica di quanto possa apparire. Più volte il Pd è stato disponibile ad anteporre la sua funzione di ‘equilibratore di sistema’ alle proprie alleanze politiche, perché questo partito è da considerare, più che una parte politica, una parte dello Stato, cioè il garante degli equilibri istituzionali, il riferimento dei rapporti internazionali dell’Italia e lo stabilizzatore dei rapporti tra èlite economica e sistema politico.
Lo si vede anche nella discussione sulla manovra di bilancio. I democratici non assumono posizioni ‘di parte’ diverse da quella del premier. Anche di fronte alla retorica populista ed elitaria dei ‘vecchi privilegiati difesi dai sindacati contro i giovani precari’, con cui i media rappresentano il dibattito sulle pensioni, non solo non levano una voce in controcanto, ma sembrano appoggiare la retorica mainstream.

Un’analisi realistica delle prospettive del centro-sinistra non può non considerare la natura di questo partito. Un serio confronto con i fatti non è quindi detto che conduca, come sostiene il segretario di Sinistra Italiana (il manifesto, 26/10), a considerare efficace, per la sinistra, la collocazione nel centro-sinistra. In primo luogo, non è scontato che questa sarà la strategia del Pd. In secondo luogo, il bilancio delle esperienze di centrosinistra a livello nazionale, regionale (per esempio nell’Emilia-Romagna di Bonaccini) o amministrativo (come nella Milano di Sala), non fa rilevare una capacità di incidenza della sinistra sulle scelte e la postura strategico-programmatica del Pd.

Forse, di fronte a un’analisi realistica dello scenario politico e della natura del Partito democratico, sarebbe più efficace realizzare un progetto politico innovativo rivolto a una parte del vasto astensionismo popolare, all’elettorato progressista deluso da Pd e M5S, e a un mondo di attivisti e militanti di sinistra dotati di una voglia d’azione che in questo momento non ha casa.