Le ragazze hanno il nome che inizia per tutte con la S. Come Saverio Crispi, il padre, grande attore del cinema italiano, quello degli splendori negli anni d’oro, ammirato e invidiato in tutto il mondo di cui lui, bello e sfacciato, col riccio scuro e l’occhio assassino, è stato il protagonista assoluto. In giro ha portato il suo talento e la sua seduzione: era irresistibile Saverio, le donne attrici e non, sul set e fuori non riuscivano a dirgli di no. Così ha collezionato mogli tradite, amanti sempre nuove e figlie solo femmine che anche dopo la sua morte continuano a vivere nel suo ricordo e nella speranza di un suo sguardo magari dall’al di là. E nel profondo coltivano ancora vecchi risentimenti e gelosie, insieme alla sua memoria intramontabile a cui sono dedite specie la prima moglie italiana – splendida Virna Lisi, qui alla sua ultima apparizione sul grande schermo – e la figlia maggiore Susanna (Angela a Finocchiaro).

 

 

L’occasione per riunire tutte da Francia (Valeria Bruni Tedeschi, la figlia bistrattata della costumista), Svezia (Phila Vitala la più piccola), Spagna (Marisa Paredes, la seconda moglie e Candela Pena, la figlia) America (Nadeah Miranda, la figlia mai vista o quasi) arriva in occasione del decennale della morte. Tutto è pronto al paesino in Puglia, San Vito dei Normanni per le celebrazioni officiate dal critico, una specie di Claudio G. Fava di provincia con tanto di farfallino, che ha dedicato la sua opera a Saverio. E non manca neppure il giovane giornalista in cerca di rivelazioni «forti» (Claudio Gioé) che si è laureato su Saverio. Perché molto di quella vita sovraesposta a fan, paparazzi e rotocalchi è rimasto nel fuoricampo.Queste donne, intanto, con i cuori incasinati di infelicità diffusa e nevrosi e uomini traditori come l’unico marito della figlia spagnola… E quell’uomo, Pedro (Lluis Homar), lo stuntman, l’alter ego sul set di Saverio, che nasconde un segreto pericoloso, almeno per l’immagine del grande amatore. Rock Hudson e tanti altri insegnano.

 

 

Latin lover il nuovo film di Cristina Comencini – in sala da giovedì prossimo – è dunque una riunione di famiglia, confronto/scontro al femminile come accadeva già in Due partite, la commedia teatrale della stessa Comencini divenuta poi film con la regia di Enzo Monteleone. Ma soprattutto attraverso liti, rivalità, competizioni, dolori sepolti e Edipo mai guarito delle sue otto donne è una sorta di storia del cinema italiano, quello dell’epoca d’oro, che la regista conosce da vicino, visto che il padre Luigi ne è stato uno dei protagonisti, di cui il personaggio di Saverio Crispi – Francesco Scianna non proprio sintonizzato col ruolo – incarna le variazioni e le avventure. La sua immagine infatti riassume quella dei tanti grandi attori che lo hanno attraversato, dal Gassman della commedia all’italiana al Giuliano Gemma del western spaghetti al Gianmaria Volontè del cinema impegnato al Nino Benvenuti di Le parapluie de Cherbourg. E per una sorta di «proprietà transitiva» dei suoi sceneggiatori o dei registi di cui cogliamo tracce e riferimenti anche nei dialoghi delle protagoniste. Pure se poi è inutile cercare una precisa corrispondenza (in certi momenti si pensa a Marcello Mastroianni): Saverio è tutto questo e le «sue» donne, alcune attrici a loro volta ne sono lo specchio, il pubblico più vicino e insieme coloro che ne conoscono l’intimità egocentrica e persino crudele. Come ogni figlio vivono il doppio legame di fascinazione e desiderio (anche se non rivendicato) di distacco.

 

 

Si diceva Mastroianni forse perché su di lui e sulle sue vite aveva costruito un magnifico film Raul Ruiz: si chiamava Tre vite una sola morte e il gioco era mescolare le infinite variazioni esistenziali d’attore all’uomo «reale». Non è però questo il punto di vista che adotta Comencini, non è Saverio il vero protagonista del film pure se tutto ruota intorno a lui. La sua «magnifica presenza»- e Ozpetek aleggia più di una volta – è un pretesto che serve a dare vita a ciò che interessa davvero la regista: le figure femminili, appunto, e il loro rapporto col maschile, e soprattutto col genitore (più che marito) ingombrante pure se amatissimo (autobiografia compresa). Che è il padre e insieme il cinema italiano, commedia in testa, con cui tutti i registi venuti dopo, e ancora oggi, sentono di doversi almeno confrontare se non cercarne una possibile eredità, fino a ricalcarlo in forma di successo vintage (vedi La grande bellezza).

 

 

Questa è però anche la debolezza del film, e se spostare nel privato, mischiando così le carte, la relazione poteva essere una bella scommessa, ecco che le figure che la punteggiano cadono negli ammiccamenti «di genere») più facili: commozione, lacrime, risate, toni sopra le righe, tradimenti, complicità tra donne come prove da attrici, tutto rimanda ai modelli più rassicuranti (compresa un po’ di fiction da prima serata), persino la «sorpresa» (ampiamente annunciata) del latin lover che come tanti altri grandi è condannato da sé stesso alla virilità. E delle invenzioni di quel cinema italiano, peso amatissimo, poco sembra esserci nella nuova conquistata libertà.