Era già successo a Grosseto, ora succede a Prato. Lo Stato non ha abbastanza soldi per pagare i supplenti delle scuole. Che si fa? Il dirigente scolastico tira a sorte: solo alcuni saranno pagati, altri no. È una delle notizie che colpiscono di più in questi mesi. Perché disattende l’articolo primo della Costituzione, quello che parla dell’Italia come di una repubblica basata sul lavoro. Il lavoro. Non a caso messo in quel primo articolo. D’altra parte, in una scuola pubblica sempre più differente dalla scuola di cui si parla nella nostra Costituzione, prima o poi era logico aspettarselo. Chi lavora nella scuola lo sa. Da anni e anni, ormai, per risparmiare, i dirigenti scolastici non nominano più supplenti. Che si fa se manca un docente? Ci si arrangia. Come? Smembrando la sua classe. Cioè? Dividendo gli alunni in gruppetti che vengono deportati in altre aule, in altre classi. Deportati, pasteggiati. In attesa che la nottataccia – anzi, la mattinataccia – passi. Si mettono a fare disegni, per lo più. Risultato: il docente non assente gestisce, oltre la sua classe, anche quello sparuto e stralunato gruppetto di alunni di un’altra classe. Di solito, senza riuscire a fare la sua lezione programmata neppure ai suoi alunni. Così si risparmia sulla pelle dei più piccoli, dei più deboli.

Una vergogna nazionale che si protrae da anni nell’indifferenza generale. Se invece il dirigente autorizza la supplente, rischia di andare fuori budget. Specie quando il budget, come di questi tempi accade spesso in Italia, non arriva in tempo utile. O è tagliato. È accaduto a Grosseto, al liceo linguistico Rosmini. Di 11 supplenti, solo 5 ricevono lo stipendio. All’annuncio del dirigente scolastico, oltre alle polemiche, segue l’intervento della Regione Toscana: ha poi messo lei, i soldi? È successo ad Avigliano, nel torinese: 5 supplenti temporanei hanno intascato lo stipendio dopo un sorteggio che lasciava senza nulla 7 colleghi. È successo a Prato: 18 precari, tra insegnanti e personale tecnico-amministrativo, non aspettano la tredicesima o lo stipendio di dicembre, ma quello di novembre, mille euro a testa, che però la preside non ha in cassa. Invece di distribuire a ciascuno di loro 277 euro, la preside decide di sorteggiare i fortunati che possono mettere in tasca uno stipendio pieno, mentre altri non metteranno in tasca nulla. Molte scuole di ogni ordine e grado si trovano in questa situazione. La situazione riguarda al momento solo i supplenti precari, ma come ci ha insegnato la storia della scuola in questi ultimi anni, il diritto negato a pochi, se non tutelato e difeso a denti stretti da tutti, spesso e volentieri diventa un diritto negato a tutti. Il ministero dell’Istruzione, in una nota, fa sapere ai dirigenti scolastici che la scelta di estrarre a sorte i supplenti da pagare non è la procedura da seguire: vanno pagati in ordine cronologico, in base, cioè, alla data di inizio della supplenza. Ma a proposito di soldi, conferma che è in grado di coprire le prestazioni delle prestazioni per le supplenze brevi che si sono svolte fino al 31 ottobre, ma non le altre. Per mancanza di disponibilità sul capitolo supplenze. La parte mancante, assicura, sarà pagata a gennaio come già assicurato in forma scritta alle scuole. Al di là delle parole, restano i fatti: i soldi adesso non ci sono e si procede con il pagamento a sorte. Dalla repubblica fondata sul lavoro, siamo passati a quella pagata sulla fortuna. A scuola, i docenti dovrebbero insegnare agli studenti la fedeltà e la fiducia verso gli articoli della Costituzione. Tipo l’articolo 34, che parla di scuola pubblica gratuita. Ma si stima che i genitori degli studenti oggi debbano spendere circa 3 miliardi di euro per supplire alle sue mancanze, senza tener conto della carta igienica che gli alunni portano da casa. Tipo l’articolo 1, che parla del valore del lavoro. Non della fortuna. Invece queste vicende testimoniano che ormai siamo abbondantemente al di fuori della nostra Costituzione. Sul lavoro non si basa più alcuna tenuta democratica, pare. E ad esso si sostituisce la fortuna. D’altra parte, il trattamento riservato anche dal recente governo nei confronti delle lobby delle slot-machine e del gioco d’azzardo riconfermano questa assurda impostazione di fondo.

In questi anni si è parlato con diffidenza delle ideologie per imporne una unica: quella del super enalotto, quello della tombola. Come recita? Farne contento uno per metterla in quel posto a milioni di altri. E i dirigenti scolastici, complici più o meno consapevoli di uno Stato ormai senza ritegno nei confronti, prima di tutto, dei suoi stessi figli più giovani, si adeguano al triste andazzo. Magari ai supplenti senza stipendio regaleranno un biglietto per la Lotteria di Capodanno. Si accontentino di quello, come è giusto che si accontentino i disperati.