Nls Christie è un criminologo norvegese. È un teorizzatore dell’abolizionismo penale, della costruzione sociale del crimine, della rinuncia al carcere quale pena. È stato sorprendentemente invitato a parlare al Vaffa Day genovese di domenica scorsa. E lo ha fatto. Avrà convinto il mondo dei 5 Stelle a comportamenti legislativi meno panpenalisti?

Che cosa avrà mai pensato della sconfessione da parte di Beppe Grillo dei suoi parlamentari che avevano votato per la abrogazione del reato di immigrazione clandestina? Lui che ha scritto libri sul business penitenziario globale avrà letto il piano di edilizia carceraria presentato dai parlamentari del M5S in alternativa alla clemenza e alla abrogazione delle leggi classiste sulla recidiva, sulla immigrazione e sulle droghe?

Ho conosciuto Nils Christie tanti anni fa in occasione delle primavere della giustizia organizzate a Lecce dal prof. Pietro Fumarola. Insieme a Francesca Paci lo intervistammo per questo giornale – e precisamente per l’inserto Fuoriluogo – nel lontano 2000.

Ecco alcuni stralci della intervista, depurati dalle domande: «Il vero problema non è la droga, ma il modo scellerato in cui si pensa di combatterla. Ci sono molte cose pessime al mondo, cose che io personalmente disapprovo, ma la questione è se esse costituiscano dei reati oppure no: è un problema di definizione. Noi dobbiamo decidere cosa è criminale e cosa non lo è. Cosa assomiglia al criminale: il cattivo, l’incomprensibile, l’involontario? Niente di tutto questo lo è necessariamente, c’è una grande libertà nelle definizioni. La maggior parte dei comportamenti che consideriamo criminali hanno a che vedere con dei conflitti, ma i conflitti possono anche essere mediati. Dobbiamo lavorare su vie alternative al sistema delle pene, dobbiamo occuparci di riconciliazione e di compensazione delle vittime. Rispondere a un disagio con la punizione significa legittimare un sistema di paure a partire dalla paura di chi punisce. Le politiche proibizioniste favoriscono l’aumento esponenziale dei detenuti in tutta Europa. Non dobbiamo però dimenticare che si tratta di un problema importato dagli Stati Uniti, e ciò è assolutamente e indissolubilmente legato al proibizionismo. Ho intervistato molte persone detenute, e una parte di esse non aveva mai fatto uso di droghe prima di entrare in prigione. Poi ci sono quelli che finiscono dentro per consumo personale o piccolo spaccio. Il problema non è quindi la droga, ma il modo scellerato con cui si è deciso di combatterla. Dobbiamo dichiarare guerra al modo in cui gli Usa hanno deciso di dichiarare guerra alla droga. Negli Usa la maggior parte della popolazione detenuta è nera o comunque molto povera. Nelle carceri finiscono le minoranze. Penso che per voi italiani sia molto importante resistere al cattivo esempio che arriva da nazioni più grandi come l’America e la Russia. Quanti detenuti avete in Italia? 54 mila? Quante guardie? 44 mila? E allora non abbiate paura dei troppi poliziotti; ognuno potrebbe portarsi a casa un detenuto, e avreste risolto il problema delle carceri!».

Oggi i detenuti sono quasi 65 mila. Nei prossimi giorni si dovranno prendere provvedimenti in ambito penale e penitenziario per evitare la scure delle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti umani. Cosa proporrà il Movimento 5 Stelle?