Psicoanalisi e rivoluzione di Ian Parker e David Pavón-Cuéllar (ombre corte, pp. 177, euro 15, traduzione di Enrico Valtellina) è un sorprendente «manifesto rivolto ai movimenti di liberazione» che, come afferma Pietro Bianchi nell’elegante postfazione, «è da accogliere come una salutare ventata di aria fresca».

Doppiamente sorprendente e fresco questo manifesto perché si sviluppa attorno a due mosse tutt’altro che scontate. La prima: l’accostamento della psicoanalisi alla rivoluzione. Accostamento azzardato dato che tanto pensiero radicale ha giustamente accusato la psicoanalisi di essere espressione del potere eteropatriarcale e la continuazione biopolitica della psichiatria. La seconda: la decisione di fare del pensiero di Lacan uno degli assi portanti del loro testo. Quel Lacan che, nel 1969, rispose con sprezzante paternalismo a chi lo contestava: «Ciò a cui aspirate come rivoluzionari è un padrone. L’avrete».

SCRITTO nel pieno della pandemia («un momento di profonda crisi politico-economica in cui il mondo simbolico e i mondi futuri che possiamo immaginare sono colpiti e minacciati da forze materiali reali completamente fuori dal nostro controllo»), il manifesto di Parker e Pavón-Cuéllar si dipana seguendo un movimento circolare: decolonizzare la psicoanalisi per risoggettivizzare collettività rivoluzionarie, denaturalizzarne le fondamenta per ripoliticizzare il disagio, depsicologizzarne teoria e prassi per ristoricizzarle. E viceversa: «possiamo trasformare il mondo, trasformandoci, ma anche trasformarci trasformandolo».

La sofferenza psichica non è questione individuale quanto piuttosto il sintomo – come la febbre climatica e l’asfissia pandemica – di quelle malattie note con i nomi di capitalismo, sessismo e razzismo. Per questo, senza disconoscere il carico di violenza che la psicoanalisi si porta appresso, i due autori cercano di far parlare la sua vena trasformativa che, in maniera carsica e tuttavia dirompente, non ha mai smesso di percorrerla, quella vena che non si propone di guarire l’individuo per adattarlo alla società intesa come immodificabile «ambiente naturale», ma per individuare «il nostro desiderio di oppressione» e fare di «questa conoscenza il primo passo verso la liberazione». «Ciascuno deve liberare non solo se stesso ma liberarsi da se stesso».

L’inconscio si trasforma così da profondità oscura in «insieme di relazioni sociali» di marxiana memoria, in un intreccio di «incontri e disaccordi, spiegazioni e contraddizioni, alleanze e conflitti». La ripetizione da «ripetizione del medesimo» in «ripetizione che crea la differenza», in spazio di «resistenza, insistenza e perseveranza». La pulsione da istinto cieco e acefalo in desiderio di ribellione capace di dire «la verità in faccia al potere». E il transfert da sottomissione a un soggetto supposto sapere in capacità di riconoscere «da soli e per se stessi» i blocchi attorno a cui si coagulano i meccanismi della servitù volontaria.

DOPO AVER DICHIARATO la loro adesione al movimento ecosocialista, in alcuni punti, purtroppo non sufficientemente sviluppati, i due psicoanalisti colgono anche gli evidenti legami che corrono tra dominio intraumano e specismo («L’illusione che noi siamo al centro, con l’Io come padrone di casa, è una storia ideologica potente secondo cui gli umani sono il centro del mondo, contrapposti agli altri esseri senzienti del regno animale»). Da cui la necessità di deanimalizzare la società umana insieme all’animale per riattivare la «parte animale che palpita» in noi. «È come se l’antica degradazione dell’animale sia servita a preparare tutti noi all’attuale degradazione dell’essere umano».

CON TUTTI I LORO som/movimenti e lasciandosi alle spalle Edipo, Parker e Pavón-Cuéllar ci mostrano il rovescio della psicoanalisi: la disadattano per portarla dal lettino alle piazze, per far sì che il dolore di vivere in «questo mondo miserabile» diventi «un’arma contro il potere». La loro psicoanalisi rivoluzionaria è pertanto parte del movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. In effetti, oggi più che mai, «lottiamo per il controllo non solo dei mezzi biologici e tecnologico-economici di produzione e riproduzione della vita, ma anche dei mezzi simbolici di espressione e relazione, di esistenza ed esperienza, di coscienza e desiderio, di conoscenza e potere».