La Rivoluzione francese aveva mostrato come fosse già presente, nel tumultuoso accelerarsi dei tempi tipico dei processi rivoluzionari veri, un «quarto stato» le cui istanze e soprattutto le ragioni profonde che facevano di tale realtà sociale qualcosa che non poteva considerarsi semplicemente come un prolungamento verso il basso del terzo. Aveva mostrato anche che quel «quarto stato» si manifestava con forme di intervento politico e perfino forme organizzative opposte radicalmente ai limiti della concezione e della pratica di quella égalité che pure della grande Rivoluzione era uno dei pilastri. Qualche decennio dopo, a partire in particolare dagli anni Sessanta dell’Ottocento, le istanze e le ragioni del «quarto stato», erano diventati forza reale tanto sul piano di autonome elaborazioni teoriche di altissimo livello che di organizzazioni di resistenza e di attacco. Erano diventate quell’antitesi allo «stato di cose esistente» in grado di ostacolarne la naturalizzazione, in grado di mettere davvero in discussione la logica di dominio strutturalmente connessa alle forme capitalismo che via via si andavano susseguendo.

QUASI DUE SECOLI di storia del modo di produzione capitalistica si sono svolti all’interno delle dinamiche di questa dialettica della modernità. Ora, dopo la rapida transizione dell’ultimo ventennio del Novecento, stiamo vivendo in una fase che appare priva di una dialettica centrale, priva di antitesi di struttura: insomma in una fase che può essere realisticamente rappresentata come il paradiso dei padroni. Una fase dove l’unico limite ai processi di accumulazione personale sono le contraddizioni interpadronali.
In un recente libro di Pierfranco Pellizzetti, Dialogo sui massimi sistemi d’impresa. La nuova cultura della Business Comunity transnazionale (Aragno, euro 18), le certezze, ed anche qualche lieve incertezza, dei vincitori è stata analizzata facendo parlare i padroni in prima persona. «L’approccio metodologico che stiamo perseguendo in queste conversazioni – scrive l’autore – è quello di evitare mediazioni da parte di terzi, attraverso il dialogo con interlocutori informati per diretta esperienza personale».
Si tratta di persone non solo ben «informate dei fatti», ma anche dotate di strumenti culturali capaci di leggere criticamente contesti teorico-pratici con funzione legittimante di alcuni meccanismi dell’«estrazione accaparrativa di risorse materiali e psichiche da parte di un sistema plutocratico alimentato da rendite posizionali». Una lettura critica che, però, rimane sempre, concentrata su oggetti considerati isolatamente e non nei loro rapporti di sistema.

CIÒ COMPORTA che gli aspetti critici possono essere ricomposti con modificazioni di sistema nella prospettiva dell’avvento di un «capitalismo dal voto umano» dove «le imprese divengano luoghi sempre più inclusivi, che aumentino il loro welfare, che lavorino affinché attraverso sostegni alla formazione i figli degli operai possano avere le medesime opportunità di quelli dei manager, che attraverso asili nido interni venga aiutata la parità di genere». In questi termini, che sono poi quelli che definiscono i lineamenti di una sorta di capitalismo-feudale, una realtà dove il Signore esercita funzioni statuali, il presidente di una holding internazionale leader nel trading siderurgico, oggi diversificata in diversi settori (energia, logistica, trasporti e ambiente), ci prospetta il futuro radioso. E non può essere diversamente perché, afferma in maniera assiomatica lo stesso Signore di vasti feudi finanziari, «il capitalismo è una forza dominante proprio perché fenomeno evolutivo, adattivo, quasi biologico».
Naturalmente, nella transizione verso tale «capitalismo dal volto umano», è necessario che anche i lavoratori si adattino. Come ci avverte il presidente del gruppo ERG, «se come sta accadendo, le aziende saranno comunque costrette a “ripensarsi”, a correre nuovi rischi in nuovi mercati e con nuovi modelli produttivi, allora (…) non possiamo non parlare anche di “lavoro circolare. E cioè della necessità di “allineare” le politiche del lavoro a questa rivoluzione introducendo nuovi ammortizzatori sociali, e nuovi e più efficaci programmi formativi e di flessibilità, per coloro che subiranno l’effetto “rimpiazzo” della New Green industry». Sarà indispensabile, insomma, concedere un minimo vitale ai superflui. Possibile quando sono già milioni e destinati ad aumentare esponenzialmente?

INTANTO in questo processo di adattamento biologico del capitalismo verso gli esiti previsti dalla teoria dell’ottimo paretiano, Pierfranco Pellizzetti, cita un dato di realtà ricordato, nelle sue memorie, da Tarik Fancy, ex capo degli «investimenti sostenibili» di BlackRock (che gestisce asset per 9 trilioni di dollari): «da quando sono nato nel 1978 la paga dei Ceo è cresciuta del 1.167%. Quella dei lavoratori del 13,7%». Che tutto ciò abbia a che fare con le vicende della lotta di classe?
Il paradiso dei padroni, dunque, è l’inferno dei lavoratori.