Il Pd in panchina e Liberi e Uguali in letargo sono l’immagine più eloquente del colpo subito e, stando al voto dei giovani, del peggio che può ancora arrivare. Come è noto il semplice ricambio demografico tra giovani che entrano a far parte della popolazione elettorale  attiva ed anziani che ne fuoriescono produce un effetto paradosso secondo il quale anche se tutti gli elettori di oggi dovessero votare tra cinque anni gli stessi partiti, i risultati sarebbero diversi.

Questo effetto è tanto più forte quanto più il voto dei giovani differisce da quello dei più adulti ed uno dei criteri che si usa per capire questo fenomeno è il confronto tra voto alla Camera e voto al Senato.
Ebbene tra i più giovani che hanno potuto votare solo per la Camera, FI prende un misero 9%, 5 punti in meno di quanti non ne prenda al Senato ed il Pd prende solo il 13,5%, ben 6 punti in meno. Se da questi perdenti si passa ai vincenti anche la Lega, che pure sfonda nel complesso, tra i giovani prende 3 punti in meno. Il M5S, invece, guadagna altri 6 punti arrivando al 38%. Leu si avvicina al 5% e Pap al 2%, ma i loro numeri sono piccoli e da prendere solo come un segnale statistico.

Da questi dati emergono alcune indicazioni nette: le tendenze che hanno determinato i risultati di oggi si rafforzeranno; si chiude l’era berlusconiana; si conclude l’esperimento Pd, un’operazione di ceto politico fatta per salvare i residui di due passati senza futuro; non decolla il tentativo di quarto polo; nell’insieme il processo di ristrutturazione delle rappresentanze politiche ha fatto un balzo in avanti, ma è tutt’altro che compiuto; la lunga transizione prosegue, vedremo altre scomposizioni e ricomposizioni; la campagna elettorale continua.
Che fare allora? Le domande che dovremo farci sono moltissime e spero che questo faremo nei prossimi mesi. Partirei da una, già avanzata sul manifesto: perché a sinistra, terra di solidarietà e di sogni di futuro, regna tanto odio, c’è tanta rabbia come se i vecchi compagni fossero i primi nemici e si corre a “votare contro”? Oppure, in parallelo: perché tanti elettori di sinistra finiscono per votare, e non solo da adesso, M5S? Per cercare una risposta provo a formulare una prima ipotesi.

La società contemporanea vive una nuova contraddizione tra benessere reso possibile dall’evoluzione tecnologica e crescenti disuguaglianze. Per gestire questa contraddizione sono state imposte regole che limitano la libertà di azione della politica creando una trappola dentro la quale la sinistra è rimasta imprigionata. Si tratta della relazione tra ideali ed aspettative che con esse creiamo e risposte che concretamente riusciamo a dare quando siamo chiamati a governare. In sintesi per essere credibili, siamo costretti a proporre cose realizzabili e quindi ad accantonare i sogni e gli obiettivi alti e di lungo periodo per diventare, così, tutti uguali ed intercambiabili. Se, al contrario, vogliamo mantenerli rischiamo di essere ritenuti poco credibili, accusati di vendere illusioni e quindi di essere messi in fuorigioco e resi impotenti.

La crisi delle sinistre è legata molto a questo nodo intricato. Di fronte ad esso la sinistra che ha governato ha scelto il realismo ed in nome di esso praticato privatizzazioni, riduzione del welfare ed austerità finendo per essere sempre più percepita come nemico che tradisce le aspettative. Come è evidente il problema è vecchio ed è alla base dei fenomeni di alternanza al potere nelle democrazie. La novità sta nel fatto che qui si è andati oltre l’alternanza rivolgendo la speranza verso una forza nuova e diversa che rappresenta una novità ed una grande incognita. Qui si impone una seconda considerazione. Lo scarto tra promesse e realizzazioni è connaturato alla politica: essa è proprio l’arte di conciliare i due termini senza perdere il consenso. Perché questo si realizzi sono necessarie due condizioni: che chi rappresenta goda della fiducia dei rappresentati e non sia sospettato di perseguire altri interessi; che le mediazioni che la politica deve fare siano vissute con la consapevolezza che esse sono necessarie e che non entrino in contrasto con gli obiettivi finali che si perseguono. Ebbene queste due condizioni non sono più riscontrate nella sinistra e nelle sue politiche.

Lo sono nel M5S? Per il momento si. Perché si tratta di un movimento nuovo e perché nei suoi fondamenti ci sono obiettivi “utopici” sui quali il tasso di attesa che siano realizzati a breve è molto basso e vi sono regole di trasparenza e decisione estranee alla cultura dei partiti, ma accettate da coloro che vi aderiscono. Ci sono nelle radici di questo movimento elementi che abbiamo, anche giustamente, demonizzato ma che sono, per altri versi, punto di forza e di attrazione.

La componente “visionaria” del duo Grillo Casaleggio conferisce una carica ideale che si stacca dall’ideologia tradizionale della sinistra e della destra storica per proiettarsi in “visioni” appunto, che, mettendo da parte aspetti di sapore folcloristico non a caso agitati da un comico di professione, gli conferiscono dignità ideale di forza che guarda al futuro. Il fatto che proprio nel momento in cui essi si accingono a governare e quindi a conciliare aspettative e realtà, il lavoro sporco venga lasciato al capo politico mentre Grillo ritorna al teatro per rilanciare i grandi temi del futuro e della visione mi sembra costituisca una calcolata divisione di ruoli per gestire la nuova fase che essi si trovano ad affrontare (vedi l’apparente paradosso per cui mentre si ridimensiona la proposta di reddito di cittadinanza, si lancia quella del reddito come diritto all’esistenza). Un modo per dare respiro alla “politica politicante”, ma anche per spostare avanti il movimento. Tutto da buttare? Non so. E se per una parte degli elettori di sinistra guardare a loro non significasse solo rabbia, ma nuove speranze di fronte ad un futuro carico di incognite?