Nella stagione delle mostre da vedere su Instagram, Victory is not an option di Maurizio Cattelan al Blenheim Palace nell’Oxfordshire (visitabile fino al 27 ottobre) è un’operazione che inverte la tendenza che dà per scontato l’uso dei social nella fruizione dell’arte contemporanea. Se ci si accontenta dell’iconica presenza in rete delle opere più famose di Cattelan, quali La Nona ora (la scultura con il papa atterrato da un meteorite) o Novecento (il cavallo appeso al soffitto) reinstallate nelle sale del palazzo dei duchi di Marlbourough (aperto dal 2014 a un programma di arte moderna e contemporanea), si rischia di perdere di vista la precisione degli interventi nella strategia del più concettuale dei nostri artisti.

LA NOTIZIA del furto di America, il water in oro a 24 carati, ha amplificato l’eco mediatica dell’esposizione, ma poco può raccontare sull’intento site-specific di questo progetto, che lo vede riallestito nella stanze in cui è nato Winston Churchill.
L’intervento nella dimora natale di Churchill è, di fatto, una dichiarazione di intenti. Si comincia con una gigantesca Union Jack, Victory is not an option, dove la bandiera inglese occupa il vasto spazio, all’ingresso dell’edificio.
Il pinocchio Daddy Daddy è invece riverso in una nuova fontana, quella delle terrazze d’acqua del palazzo. È un invito a misurarsi con la Disney artistica contemporanea, ma con all’orizzonte la splendida campagna inglese disegnata da Capability Brown.

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LA GENERAZIONE dell’artista è cresciuta costellando di interventi di critica sociale la dimensione d’intrattenimento di tanta produzione recente; Cattelan ha saputo però associare al lavoro di straniamento i materiali giusti. La noncuranza dei suoi gesti ricorda i grandi poveristi e concettuali italiani che lo avevano ispirato. Nei marmi che lo ricollegano a Fabro o Paolini, nelle tassidermie di Merz e Kounellis, oppure nell’ arguzia boettiana e nell’inevitabilità della sprezzatura elegante del suo gesto.
Il coccodrillo appeso (Ego) nella stanza del Terzo Stato, pur rimandando alla storia di tassidermie e trofei che adornano la dimora, è un tassello di autoreferenzialità, così come il cavallo penzolante di Novecento (1997) che si aggiunge alla fauna di questo nuovo magnifico diorama in cui l’artista ama reinstallare le sue opere. Cattelan si autocelebra e contemporaneamente opera un lavoro sul reale. Will never die, l’opera che apre la mostra è un lavoro raffinatissimo, dai toni dechirichiani e metafisici: la copia monumentale di un frammento della scultura di Jeanne D’Arc di Emmanuel Fremlet, così cara ai sovranisti e alla destra francese, il Front Nationale. Il vessillo è però qui puntellato da sacchi di sabbia, riprodotti in marmo. La precarietà monumentale delle ideologia è messa in crisi dal gioco di scala e dallo slittamento di significato.

TORNA ANCHE Him, l’Hitler inginocchiato questa volta davanti a un organo monumentale e Others 2011, che altro non è (ed era) l’accumulo dei suoi piccioni impagliati nell’installazione Turisti, con cui aveva riempito lo spazio di un suo primissimo intervento alla Biennale di Venezia del 1997. Qui dividono l’intero spazio della cappella del palazzo con Oliver e Tom, la galleria di senza tetto dislocati dall’artista negli anni nelle sedi più inusuali. Un’altra cartolina, spedita da uno dei luoghi del turismo britannico per eccellenza, da aggiungere alla collezione di selfie di Maurizio Cattelan. Dopo l’apoteosi americana del Guggenheim, c’è Blenheim. La mostra chiuderà i battenti proprio nei giorni delle grandi decisioni sull’affaire Brexit, a fine ottobre. Le opere più vecchie e quelle nuove qui esposte sembrano sottolineare utopie e fallimenti che – dentro e fuori il sistema dell’arte – restano questioni cruciali.
Cattelan sa che la realtà è molto più provocatoria della sua stessa arte e non si stanca di ripeterlo, moltiplicando il tasso di «classicità» dei suoi lavori. Questa volta, l’autore suggerisce una strada diversa, probabilmente ispirata a un discorso di Winston Churchill: «La tattica è la capacità di dire a qualcuno di andare all’inferno in modo che non veda l’ora di partire».