Una nuova speranza si fa largo nel Sud d’Italia. La quinta restaurazione borbonica – dopo quelle del 1799, del 1815, del 1821 e del 1849 – può finalmente prendere corpo alle prossime elezioni regionali in Calabria. Per esordire con il suo partito, l’M24A (Movimento 24 Agosto), Pino Aprile, l’autore del best-seller Terroni, ha infatti scelto proprio la regione più estrema della penisola. Non è un caso.

Sempre dalla Calabria nel 1861 era partita la sfortunata impresa del generale spagnolo José Borjes ma anche quella che nel 1799 aveva portato vittorioso a Napoli il cardinale Fabrizio Ruffo alla testa dell’Esercito della Santa Fede. Aprile è sbarcato, come i suoi illustri predecessori, sulle coste calabre con l’intento di infiammare gli animi e incitare le popolazioni alla rivolta perché, come scrive sul suo blog, con una minaccia neppure troppo velata, se “il vero fine dello Stato unitario (si fa per dire) è ridurre il Mezzogiorno a colonia e mantenerlo in tale condizione, per svuotarlo delle sue risorse (ieri l’oro delle banche e i macchinari delle fabbriche; oggi i risparmi, il petrolio e i giovani laureati), allora non resta che cercare l’equità lontano da chi te la preclude. La secessione sarebbe una sconfitta, ma a cui ci si vedrebbe costretti, per non rimanere colonia”.

Sono parole chiare per chi voglia intenderle. Il programma politico di Aprile e del suo M24A, che ça va sans dire non è di destra né di sinistra, ha un fondamento che si vorrebbe storico e una proiezione che potrebbe essere sofferta ma inevitabile. Il punto di partenza è il giogo imposto dai colonizzatori settentrionali che centosessanta anni fa conquistarono il Mezzogiorno depauperandolo dell’oro, quello delle banche, e dei macchinari, quelli delle fabbriche, perché nella narrazione offerta da Aprile nelle sue fortunate pubblicazioni il regno di Napoli era il più avanzato, il più ricco e il più industrializzato d’Italia, terra felice sotto il buon Borbone. Queste colossali fole, o fake news come oggi più comunemente s’usa dire, si sono fatte strada con straordinaria facilità proprio in Calabria, terra di primati veri, con la disoccupazione più alta, il reddito pro capite più basso, il peggior sistema sanitario fra tutte le regioni italiane, come da anni certifica l’Istat e da mesi impietosamente mostra l’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19.

Il fallimento totale, assoluto, incondizionato delle amministrazioni regionali, Scopelliti e Oliverio in testa, ha lasciato spazio a ogni congettura sul destino infelice della Calabria e non c’è spiegazione più semplice da capire e più gradevole da accettare di quella che, soprattutto nei momenti più duri, ci solleva da ogni responsabilità per trasferirla a mani esterne.

Così si alimenta quel penoso refrain di lamentele e di recriminazioni, quel vittimismo lagnoso che è il peggior modo di far valere le ragioni autentiche del Mezzogiorno. Si può far peggio solo brandendo un’assurda, autolesionista minaccia di secessione dall’Italia (e dall’Europa); un sovranismo tanto muscolare quanto surreale che può far presa su una società debole e disgregata ma che per ora non sembra avere grande seguito tra gli apparati della politica calabrese, impegnati nella conservazione dell’esistente e nell’affannosa conquista di seggi che per molti valgono anche la fine della disoccupazione e dell’incertezza economica.

Svanito in extremis il tentativo di imbarcare Carlo Tansi, leader del movimento Tesoro Calabria accreditato di un buon successo elettorale, al momento Aprile non ha che due alleati: Francesco Ajello, alle precedenti elezioni candidato del M5S , e Domenico Gattuso di 10 Idee per la Calabria, che nella stessa tornata non è riuscito a raccogliere le firme necessarie per la presentazione di una lista ma che ha sostenuto con convinzione la coalizione di centro-sinistra, perdente e guidata da Pippo Callipo. Se alla Calabria non resta che il neo-borbonismo per provare a cambiare le cose allora è innegabile il fallimento della sinistra in tutte le possibili declinazioni, in una regione che pur potrebbe vantare una significativa e non periferica storia di lotte per il riscatto delle classi subalterne.