«Apriamo le scuole d’estate». Questo recente annuncio della ministra dell’istruzione Giannini ha davvero il sapore di uno “strumento di distrazione di massa”.

Il governo Renzi è in evidente affanno, per le prossime elezioni comunali, per il referendum costituzionale, per un serio malessere nella scuola (tra concorsi, chiamate dirette e uno sciopero che si preannuncia imponente).

E non si può più ricorrere, per via delle maggiori difficoltà finanziarie del Paese, alla possibilità di agitare la promessa di nuovi ottanta euro.

E allora ecco uscire “il coniglio dal cappello” .

Aprire le scuole d’estate, soprattutto nelle zone a rischio, per bambine e bambini per attività ricreative e culturali, proposte dalle scuole stesse.

Per ora in quattro città : Roma, Milano, Napoli, Palermo. E cominciando proprio da Napoli.

Questo annuncio intercetta certo il problema enorme del tempo della scuola che non sempre coincide col tempo di lavoro delle famiglie, soprattutto in Italia. Ma i primi ad essere scettici di fronte al progetto , ancora tutto da definire, sono proprio i dirigenti. Che dicono apertamente «non possiamo permetterci di sprecare soldi pubblici». E si chiedono se «i fondi sono per il personale o per le attività». Perché per attività del genere servono spazi, palestre, attrezzature.

E infine tutti concordano col fatto che questi progetti non si possono improvvisare, andrebbero programmati e preparati sin dall’inizio dell’anno per avere efficacia, buoni risultati e riuscire (almeno in parte) a contrastare la dispersione scolastica.

E in effetti è grande la confusione sotto il cielo. Troppe sono le finalità del progetto: contrastare la dispersione scolastica, venire incontro alle famiglie che appena si chiudono le scuole non sanno a che santo votarsi.

Ho ascoltato commenti dei genitori, davanti alle scuole, più che altro scettici, con qualche speranzoso «magari».

I genitori e i docenti sanno bene che un’operazione del genere per avere risultati dovrebbe prevedere un grande investimento. Tra personale da assumere (altri precari?) o docenti in servizio da pagare (e bisognerebbe pagarli bene, non qualcosina in più come si dice), strumenti didattici, riparazioni di aule e palestre, mense da allestire, spazi da organizzare. D’estate, infatti, chi è andato a scuola lo sa, si bolle nelle aule e nei cortili.

E per questa operazione il governo stanzia dieci milioni.! Ma non scherziamo! Non scherziamo con le necessità delle famiglie che hanno bisogno di qualità degli interventi, soprattutto nelle scuole dei quartieri difficili, e non di custodia, e con la professionalità del personale della scuola che non ha bisogno di mance, ma di rispetto e di valorizzazione.

Un’operazione del genere avrebbe avuto bisogno di risorse vere e di tempo per essere organizzata. Cosi come è raccontata ha l’amaro sapore di una promessa elettorale che parla indecentemente ai bisogni veri delle tantissime famiglie in difficoltà.

Peccato… una proposta sprecata.