Avevano detto che il «docente esperto» sarebbe stato «stralciato» dal «decreto aiuti bis». Alla fine gli hanno cambiato il nome. Tra nove anni, e dopo tre cicli di formazione triennale, 32 mila docenti su 850 mila in servizio nella scuola italiana saranno definiti «docenti stabilmente incentivati» perché percepiranno l’«una tantum» di 5.650 euro oltre il loro stipendio.

La riverniciatura è stata definita una «mediazione semantica» da voci dal sen fuggite delle commissioni Bilancio e Finanze del Senato. Concetto barocco che non aiuta a capire cosa ci sia di «stabile» in un incentivo che premierà occasionalmente un’esigua minoranza di docenti. La «mediazione» in questione è stata semplicemente realizzata tra i partiti in campagna elettorale. Oppure tra il Pd e il suo ministro uscente Patrizio Bianchi. Il partito guidato da Enrico Letta si è reso conto che le martellanti contestazioni sindacali della misura difesa dal governo dal governo Draghi in nome del Verbo del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) avrebbe contribuito ad allentare il tenue rapporto che lo lega al mondo della scuola che ancora ricorda la «riforma» renziana della ««Buona scuola». Bianchi ha ribadito il concetto: il docente «esperto-stabilmente-incentivato» «ce lo chiede l’Europa». Senza di lui, i fondi dedicati dal Pnrr saranno tagliati. I sindacati ritengono invece che la misura sia stata scritta a Roma e poi presentata come legata al Pnrr.

La «mediazione» ha inoltre rinviato i problemi di una misura figlia di nessuno alla negoziazione con i sindacati sul contratto bloccato da più di tre anni. Un altro paradosso. Resta l’anomalia di avere previsto una figura, e determinato un «incentivo», per legge. Chiara la volontà di indebolire il contratto già malmesso e aumentare la concorrenza tra i docenti. Le trovate da campagna elettorale non rimuovono la gabbia d’acciaio ideologica in cui soffoca la scuola.