Alle 6 del mattino del 24 aprile 2019 si conclude una riunione fiume tra governo e sindacati della scuola, (Flc Cgil, Cisl Fsur, Uil scuola, Snals e Gilda) durata tutta la notte e finita con un cosiddetto accordo. In quelle stesse ore il premier Conte, intervenuto a sbloccare una perdurante situazione di stallo, scrive “orgogliosamente” su Facebook: “Istruzione e ricerca sono un comparto strategico per il Paese e una priorità di questo governo. (…) Consapevole di dover investire di più” nella scuola, “pur in un quadro di finanza pubblica che purtroppo ci pone dei vincoli, il governo si è impegnato a individuare le risorse necessarie per il rinnovo dei contratti, assicurando un congruo incremento degli stipendi”.

Una cifra che , secondo un recente studio della FlC Cgil, dovrebbe aggirarsi intorno ai 4 miliardi. E fin qui siamo agli annunci, positivi certo ma pur sempre annunci. Qualcuno, più malevolo, avanza l’ipotesi che si dovesse disinnescare quella grana dello sciopero della scuola del 17 maggio, data fastidiosamente vicina alle elezioni europee e si sa che quando la scuola si mobilita un pò di male ai governi in carica riesce a fare.

Forse l’unica promessa che potrà essere mantenuta è quella delle assunzioni, visto che la cosiddetta quota cento consentirà a molti docenti di liberare posti per le nuove assunzioni. E il governo ci guadagnerà pure, visto che gli stipendi di chi entra nella scuola sono molto inferiori a quelli di chi sta per uscirne e che il numero degli insegnanti che entrano (66.000 previsti) è inferiore rispetto a quelli che vanno in pensione (circa 100.000). In conclusione un doppio saldo attivo. Insomma, e lo dico con affetto e rispetto nel confronti dei sindacati confederali e di tutti gli altri), il governo cosa ha messo sul tavolo? Un impegno, anche abbastanza generico direi, a trovare fondi per il rinnovo del contratto nella Legge di Bilancio 2020? Una cosa di là da venire. E come dovrà concretizzarsi l’impegno, anche questo annunciato di fermare il processo dell’autonomia rafforzata?

Non possiamo dimenticare che almeno due regioni, Lombardia e Veneto, sono in dirittura d’arrivo – con un pre-accordo già sottoscritto con il ministro competente – per concludere il percorso di quella che viene chiamata la “secessione dei ricchi”. Il premier Conte ha parlato di tutto questo con i governatori di quelle regioni, con Fontana e Zaia? Il quotidiano la Repubblica diceva qualche giorno fa che i governi in questo paese sono due (quello dei 5Stelle e quello della Lega) e che parlano con due voci diverse.

Ma potrebbe essere che siano addirittura quattro. E che – per esempio – il ministro Salvini per bloccare quello sciopero nefasto è disposto a far dire al ministro Bussetti (che tra l’altro è abituato a dirne tante, di tutto e di più) che lo stato giuridico degli insegnanti deve essere unico e nazionale, che eguali devono essere i loro stipendi, che l’autonomia che alcune regioni vogliono non deve toccare il carattere unitario della scuola italiana. Il tutto sotto la regia soft del presidente Conte. Il giorno dopo, il capo della Lega non smentisce il suo ministro. Zaia e Fontana tacciono, come se non fosse successo niente, dopo mesi di rivendicazioni e minacce. E’ un caso classico di ragionevole dubbio?