È sopravvissuta a tutto Mary J. Blige, forse l’artista afroamericana che più di ogni altra è riuscita a catturare l’essenza di Aretha Franklin, portando quell’attitudine soul in forme moderne musicali con ritmiche hip hop e urban. È sopravvissuta a un passato fatto di dipendenze e abusi, a rapporti tumultuosi con la discografia e a scelte artistiche volute caparbiamente, magari al costo di sbatterci la testa, come nel caso delle belle London session incise nel 2014 con i maghi dell’EDM e finite in un fragoroso flop.

Sopravviverà anche alla (brutta) fine del matrimonio con il marito (e ora ex manager) Kendu Isaacs, le cui burrascose vicende non solo sono al centro del suo nuovo album Strenght of a Woman, ma ne hanno determinato anche la sua riscrittura. Emporwment – la definiscono in America – artiste in prima linea che mettono nella musica il racconto – quasi un confessionale – delle proprie vite, un’emancipazione condivisa con i propri fan. Solo negli ultimi dodici mesi lo hanno fatto Alicia Keys e Beyoncé nel kolossal concept, Lemonade in una costruzione bella esteticamente, ma un po’ artificiosa. Mary è invece autentica nel mettere in mostra il suo dolore, come ribadisce anche Jazmine Sullivan – cantante e autrice nominata ai Grammy – che ha scritto con la soul diva due brani del disco: «Il testo del primo singolo – Thick Of It – era molto diverso rispetto alla prima stesura. Ci siamo poi sentite ma la sua situazione matrimoniale stava precipitando. Mi ha chiamato per dirmi di fare alcuni cambiamenti nella canzone. All’inizio era un brano allegro, perché Mary stava lottando per il suo matrimonio e provava a farlo funzionare. Qualche mese più tardi le cose sono radicalmente cambiate, così abbiamo deciso di cambiare tutto».

Ancora più diretta Set me free, l’altra traccia scritta insieme alla Sullivan, dove traspare tutta la rabbia di donna ferita: «C’è un posto speciale all’inferno per te», o nell’esplosiva Glow Up – composta con la collaborazione di Missy Elliott, DJ Khaled e Quavo: «Vedrai cosa ti aspetta. Tu mi hai fatto piangere, ora tocca a te…» Gli arrangiamenti si adattano perfettamente a questo clima di tragedia annunciata, mescolando elettronica e strumentazione tradizionale in una seduta di auto analisi «soul», dove mettono le mani anche un ispirato Kanye West che rappa con la consueta maestria in Love yourself, o Telling the Truth – che vede impegnati i Badbadnotgood e alla produzione dj Kaytranada. Ma è la voce di Mary a sconvolgere sopra ogni cosa, potente e al contempo suadente come nella conclusiva Hello Father, unico anelito di speranza in un disco inevitabilmente amaro, quasi a dire: «C’è vita dopo il divorzio».