Italia

Scuola, se l’insegnante non può più studiare

Da 13 anni sono onorato di lavorare in uno dei quartieri a più alta incidenza ‘ndranghetista della Calabria. Tutte le mattine percorro, a spese mie, 140 chilometri per andare e […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 8 luglio 2014

Da 13 anni sono onorato di lavorare in uno dei quartieri a più alta incidenza ‘ndranghetista della Calabria. Tutte le mattine percorro, a spese mie, 140 chilometri per andare e tornare dalla sede di servizio. Insegno Lettere in una scuola media statale di un rione che presenta i livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa. Insieme ad altri colleghi e colleghe, ogni giorno andiamo a prendere i ragazzi a casa, li seguiamo nella vita, dedichiamo tanto tempo ad ascoltare e condividere i drammi delle famiglie da cui provengono. Da sempre contrastiamo a voce alta la subcultura mafiosa.

So che in tutta Italia migliaia di altri insegnanti svolgono la medesima nostra opera, spesso senza beccare un centesimo dai fondi destinati ai progetti che a volte servono solo a lottizzare, dividere e mortificare i volenterosi. Nel quartiere in cui insegno, i genitori dei nostri alunni ci manifestano rispetto e stima. Non importa che si tratti di persone benestanti o mafiosi conclamati. Con occhi sinceri, tutti ci dicono: «grazie prof.». Forse perché sul pianeta Terra, pochissimi padri e madri augurano ai propri figli di diventare carne da macello quando saranno adulti. E tutti vogliono bene a chi vuole il bene dei loro figli.
Il mio borghesissimo e perbenista vicino di casa, nella città in cui vivo, quando purtroppo ci incrociamo nelle scale condominiali, mi dice spesso: «beati voi insegnanti che siete una casta, lavorate solo 18 ore a settimana, fate tutte quelle vacanze e date pure lezioni private senza pagare le tasse». Mi sono sempre chiesto se il mio vicino di casa voti per il Pd o per Forza Nuova. Un paio di volte gli ho risposto a muso duro: «ma tu ci sei mai stato in una scuola negli ultimi vent’anni?» E lui, sempre più spocchioso: «ti arrabbi? Non è che per caso hai la coda di paglia?»

Adesso che il signor Matteo Renzi ha deciso di raddoppiarci l’orario, il mio vicino di casa ha perso un argomento. I miei alunni, invece, rischiano di perdere punti di riferimento. Tutte le volte che si rivolgeranno a me per affrontare uno degli infiniti problemi, sia a loro che ai rispettivi genitori sarò costretto a rispondere: «scusate, ma devo correre a rinchiudermi dietro la cattedra o a sostituire i colleghi assenti». Perché a fare due conti, c’è da mettersi le mani nei capelli: 36 ore di servizio settimanali più 10 di viaggio più 1 di ricevimento più 2 di organi collegiali più un numero imprecisato di ore per correggere compiti, riempire i registri e frequentare i corsi di aggiornamento. Tutto questo per 1500 euro al mese, con una famiglia a carico, senza altre entrate.

A parte il fatto che un essere umano, soprattutto quando svolge lavori delicati, cerebrali e rivolti ai minori, dovrebbe pure ricordarsi di vivere, cioè fare l’amore, distrarsi e “ricrearsi”, in realtà adesso sorge un altro problema: dove troverò il tempo di studiare? Perché forse questo in pochi lo sanno, ma un vero docente, prima di insegnare, deve soprattutto studiare.

Non ho mai nutrito stima per i miei colleghi che svolgono la doppia attività. Perché mi sono sempre chiesto dove trovino il tempo per studiare e preparare la lezione del giorno dopo.
In ogni caso, resteranno delusi gli insegnanti che hanno votato Matteo Renzi. Loro si aspettavano proposte di miglioramento della qualità didattica. Invece questo governo sinora ha elargito tanti soldi alle imprese di costruzione per l’edilizia scolastica e adesso si appresta a tagliare ancora i fondi per la scuola pubblica, raddoppiando l’orario di insegnamento. Rendendo la vita impossibile a migliaia di docenti che ancora operano in modo umano, finirà di disumanizzare la pubblica istruzione che è l’unico settore in cui gli erogatori di un servizio ricevono i propri utenti tutti insieme, simultaneamente, all’interno di un’aula.

Resterà deluso chi si aspettava un tetto massimo di 15 alunni in ogni classe, un possibile limite di età fissato a 60 anni per i docenti in servizio, criteri di continuità triennale degli insegnanti su una singola classe, assorbimento dei professori precari, nuovi sistemi di formazione e assunzione del personale.
Resteranno delusi tutti, tranne quelli che masticano odio sociale e serbano rancori postadolescenziali verso la classe docente. Violentato dai miti fallimentari della produttività neoliberista, il sistema scolastico peggiorerà ulteriormente. Le conseguenze più gravi ricadranno sui ragazzi che assorbiranno il malcontento e le frustrazioni di una classe docente sempre più frettolosa e robotica. Ma almeno adesso so con certezza per chi vota il mio vicino di casa.
*L’autore è insegnante di ruolo nella Scuola media

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