Le donne sono la maggioranza nella scuola in italia. Lo ha scoperto recentemente l’Ocse e ne siamo tutti lieti.
Tutti gli altri sapevano, dai tempi di De Amicis, che le donne hanno ‘fatto’ la scuola in Italia. Dalle maestre a quelle straordinarie pensatrici e pedagogiste che hanno contribuito a fondare e irrobustire il pensiero pedagogico e didattico nel nostro Paese. Da Maria Montessori a Dina Bertoni Jovine, Ada Gobetti, Emma Castelnuovo, per citare le più conosciute, la punta dell’iceberg di un pensiero e di una pratica che tanto ha contribuito a far crescere e a civilizzare il nostro Paese.

Erano tante e coraggiose le maestre in tempi in cui a vigilare nei paesi era la scuola, la Chiesa e i carabinieri.
E però qualche perplessità la suscitavano. A partire dalla scarsa stima sociale, che sfiorava il disprezzo, dei ceti dirigenti italiani che, per la verità, toccava anche i pochi maestri. Come testimonia l’inchiesta di Umberto Zanotti Bianco dell’inizio del 1900 che definiva i maestri sovversivi ( socialisti) e le maestre, senza giri di parole, puttane.
Forse perciò quelle caparbie maestre, si impegnarono ancora di più a far bene il proprio lavoro, per alfabetizzare, accogliere, promuovere, sapendo che educare vuol dire emancipare e per «scrostare i grumi di ignoranza intorno alla vita della scuola e alle condizioni di chi in essa opera».

È un fatto, la scuola italiana è stata in gran parte edificata dalle donne, dai loro saperi, dalle loro intelligenze, anche se a lungo sono state degli uomini le posizioni apicali. E i pregiudizi sono duri a morire.
Dunque l’Ocse ci dice che siamo arrivati a un livello di guardia nel rapporto tra la presenza femminile e quella maschile nella scuola in Europa, ma in maniera particolare in Italia. Siamo, infatti, al 68% di insegnanti donne in Europa, all’ 83% in Italia. Dove nel decennio 2005/ 2014 la presenza femminile è cresciuta del 62/68%. Sarebbe utile riflettere sui tanti perché, a cominciare dal taglio massiccio dei posti (86.000. da Gelmini in poi, mai più recuperati) e del non adeguamento degli stipendi all’aumento del costo della vita.
Ma l’ Ocse propone tutt’altra indagine. «Sarebbe interessante- si dice nel rapporto- indagare il potenziale impatto del divario di genere, per esempio sui risultati di formazione e di carriera».
Formula generica, ma sinceramente inquietante.

Sembra che soffi nel nostro Paese un vento di restaurazione sulla scuola, e non solo. Alcuni esempi? Ha cominciato quel comitato dei seicento che ha denunciato l’ ignoranza dei giovani, approdati all’Università, anche su elementari competenze ortografiche. La colpa? Della scuola lassista, quella aperta a tutte e tutti, la scuola di Don Milani, delle dieci tesi per un’educazione linguistica democratica. Dimenticando che quella scuola ha alfabetizzato milioni di bambine e bambini, rendendo possibile ” che anche il figlio dell’ operaio diventi dottore”. È il non aver tenuto sui principi di una scuola di democrazia da Moratti in poi che ha procurato danni. Come danni hanno creato i tagli selvaggi di Gelmini e Tremonti. E un grande contributo a questo “ritorno al passato” stanno dando i decreti legislativi della legge 107. Penso a quello sull’inclusione, che mette in discussione una legge progressista ed efficace come la 517 del ’77, riducendo risorse, escludendo le famiglie dalle decisioni, medicalizzando il problema.

E ora? Con quella formula «indagare sull’impatto del divario di genere» non si vorrà indicare la responsabilità delle donne nei risultati del sistema scolastico?
Vorrei sommessamente dire: non ci provate.
Forse farebbe bene l’Ocse a indagare invece sul drastico taglio agli investimenti- anche qui abbiamo un altro ma ben più triste primato in Europa- che tanto pesa sulla qualità e l’efficacia del nostro sistema scolastico.