Seicentoquarantamila studenti delle scuole superiori sono tornati a fare lezione anche in presenza, alternandosi al 50% con la didattica online nel Lazio, in Piemonte, Emilia Romagna e Molise. Ora siresta in attesa di capire se il governo o le regioni riusciranno a raggiungere quota 75% di presenze alternate tra classe e abitazione oppure saranno costretti a rimandarli a casa davanti a un Pc per un repentino aumento della curva pandemica, la cosiddetta «terza ondata» del Covid. Com’è già accaduto a ottobre.

È QUESTA INCERTEZZA di fondo ad avere spinto molte altre regioni a riaprire in ordine sparso e stracciare l’intesa con il governo definita al buio il 23 dicembre scorso senza conoscere i dati dell’epidemia di gennaio. In Campania (zona gialla) ieri hanno riaperto solo le classi fino alle terze della scuola primaria, le superiori dovrebbero forse riaprire a metà lunedì 25. E cosi faranno anche Liguria (zona arancione) e Umbria (arancione). Il rientro in classe delle superiori in Veneto (arancione), Calabria (arancione), Sardegna (gialla), Basilicata (gialla), Friuli Venezia Giulia (arancione), Marche (arancione) è previsto il primo febbraio. In Sicilia (zona rossa), il presidente della regione Nello Musumeci ha ipotizzato la didattica a distanza sin dal primo ciclo. In Puglia (zona arancione) le superiori torneranno in classe forse, non prima, del 25 gennaio, mentre il presidente Michele Emiliano continua con la «Didattica a scelta», la «Das» che affida alle famiglie, e non alle autorità regionali o al governo, la responsabilità di mandare i figli a scuola oppure lasciarli in Dad.

QUESTO CAOS politico e giuridico sta frantumando il diritto all’istruzione, istituisce nei fatti l’autonomia differenziata tra le regioni e spinge i Tar a decidere sulle riaperture al posto del governo. E rende i presidenti di regione molto nervosi. Ieri lo era il fronte leghista del Nord Est. «I nostri colleghi sono abbastanza arrabbiati – ha detto il veneto Luca Zaia – Mettetevi nei panni di chi deve garantire la salute pubblica come noi e vede questo “chiude-non chiude”. Ci dicono adesso che il parere di scienziati, come Burioni o Palù, sono smentitì dal Comitato tecnico scientifico (Cts). Quelli che vanno in Procura a rispondere siamo però noi». La questione dovrebbe essere ormai nota: non sono disponibili dati consolidati, e ufficiali, sugli eventuali contagi prodotti non solo dentro, ma anche fuori dalla scuola. Domenica scorsa il Cts ha ribadito che le scuole hanno un ruolo limitato nella trasmissione del virus. L’orientamento è « riaprire». Se qualche presidente di regione decidesse diversamente, «se ne assume la responsabilità». «Voglio che il Cts scriva nero su bianco che non c’è pericolo di contagio e io apro tutto» ha risposto il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Anche questa incertezza è usata dalle regioni per varare ordinanze più restrittive dei Dpcm, facoltà riconosciuta dal governo che ha scelto di non avocare a sé la decisione in un periodo di emergenza. La Flc Cgil ha chiesto « di cancellare i poteri inopinatamente attribuiti alle regioni anche sulla scuola, dal decreto legge 33/20». È questo il motore del caos.

GLI STUDENTI hanno manifestato ieri a Roma tra piazza del Pantheon e Montecitorio e hanno contestato le modalità scelte dalla regione Lazio guidata dal segretario Pd Nicola Zingaretti per il rientro. «La regione si è affrettata a riaprire le scuole strumentalizzando le nostre proteste della settimana scorsa – hanno scritto – e ha ignorato la richiesta di un rientro più sicuro, vivibile e duraturo. Non abbiamo ancora visto un effettivo cambiamento della situazione. Le solite promesse ricoprono il dibattito sull’istruzione e tutte le istituzioni sono colpevoli. Non c’è alcun interesse nel prendersi cura del mondo della formazione e il rientro che sacrifica studenti, docenti e personale Ata lo dimostra. Così quasi nelle stesse condizioni di settembre ci ritroviamo a dover tornare a scuola con trasporti precari e senza la certezza di una vera sicurezza, rischiando una chiusura imminente. L’unica cosa che è cambiata è l’aggiunta di un orario infernale». Protestano i docenti romani di un gruppo Facebook con centinaia di firme (si veda qui ilmanifesto.it/lettere): «Vogliamo tornare a scuola senza sottostare ai continui ed estemporanei stravolgimenti proposti da chi governa». «Il Cts dichiara che le scuole non sono luoghi di contagio, e allora perché non si riapre?» domanda l’Unione degli studenti. Nel pomeriggio di ieri dal Pantheon Priorità alla Scuola, e la Rete degli Studenti Medi Lazio hanno chiesto il potenziamento dello screening, sistemi di aerazione nelle aule, classi con 20 studenti e assunzione dei precari. «Governo, regione e comune prendano impegni seri per un continuo monitoraggio della situazione e contemporaneamente le forze di tutti convergano per correggere ciò che nella scuola non funziona».

A MILANO prosegue la staffetta delle occupazioni. In questo caso le scuole superiori sono ostaggi del caos delle delibere regionali sospese dal Tar e poi della zona rossa che li ha riportate in Dad. Ieri è stato il turno del Parini. Anche in questo caso gli studenti si sono autofinanziati i tamponi per occupare l’istituto in sicurezza. «Le istituzioni ci prendono in giro e rinviano il ritorno in presenza, non prendono provvedimenti sufficienti per garantire il rientro – dicono – Vogliamo una scuola in presenza anche in zona rossa».