Veniamo al nocciolo della questione. Ci sono vicende che si originano come episodi locali, settoriali, e che nel corso del loro svolgimento assumono via via un significato più ampio, strategico, di ordine generale. E’ quanto è avvenuto per il referendum che si terrà oggi a Bologna sul finanziamento da parte del Comune delle scuole dell’infanzia paritarie private. Dunque, il sistema delle convenzioni è fallito, innanzitutto sotto il profilo materiale.

A seguito della spinta referendaria, il comune di Bologna ha aperto quest’anno numerose sezioni di scuola dell’infanzia (benché molte a part time) e secondo gli ultimi dati ci sarebbero ben 300 posti ancora liberi nelle scuole dell’infanzia paritarie private a fronte di 220 domande inevase di scuola pubblica, chiaro ed inequivocabile segnale di come la domanda di scuola privata dell’infanzia privata sia stata «drogata» in questi anni dal «razionamento» dell’offerta di scuola pubblica.

Il senso ultimo del referendum di oggi si fonda sull’art.33 della Costituzione repubblicana. Non solo sul famoso comma «senza oneri per lo stato», ma anche sul secondo comma secondo cui la Repubblica deve istituire scuole di ogni ordine e grado. Quindi tutti i bambini hanno diritto a frequentare una scuola dell’infanzia pubblica, e questo diritto deve essere esigibile in concreto, attraverso un’adeguata offerta di scuola pubblica (statale e locale).

Il principio di sussidiarietà, invocato dai nostri avversari, non tiene nel caso della scuola: scuola pubblica e scuola privata (ancorché paritaria) non sono scambiabili: la prima è gratuita, la seconda a pagamento. La scuola pubblica è laica (ovvero pluralista), quella privata di tendenza (religiosa o altro poco importa). Nella prima viene rispettato il principio della libertà di insegnamento (comma 1 art 33), nella seconda no. Per la nostra Costituzione, la scuola è una delle pietre angolari dell’edificio repubblicano, perché è l’organo che contribuisce in modo fondamentale a formare i cittadini. Sul giudizio individuale si fonda infatti l’esercizio della sovranità.

In questo referendum si confrontano (anche se in maniera non equilibrata, in quanto l’arbitro, ovvero il sindaco Merola, ha indossato la casacca delle scuole paritarie) due concezioni della Repubblica: una basata sul comunitarismo ascrittivo (a ciascuno la sua scuola, quindi scuole cattoliche, musulmane, etc) e sul neocorporativismo (l’esigenza di «governare» il sistema, ovvero di estendere e consolidare gli scambi politici tra apparati), l’altra fondata sul pluralismo dentro le scuole (ovvero la libertà di insegnamento, che nelle scuole private è negata dovendo gli insegnanti sottoscrivere e accettare il progetto educativo) e sull’estensione del principio di uguaglianza.
Andremo a votare a testa alta, sicuri delle nostre buone ragioni e della partecipazione dei bolognesi (partecipazione che il sindaco e la sua giunta hanno ostacolato con tenacia). Un comitato formato inizialmente da poche decine di cittadini è riuscito a dare vita a un importante episodio di democrazia partecipata e a riportare la scuola al centro della discussione politica, nonostante l’opposizione di tutti i poteri della città. Un primo, straordinario risultato l’abbiamo quindi già ottenuto. No alla rassegnazione, sì alla lotta: oggi a Bologna, domani in tutta Italia.

* comitato articolo 33