Ci sono pochi dubbi sul fatto che, dopo l’insediamento del nuovo parlamento, nessuno abolirà l’alternanza scuola-lavoro rinominata con un acronimo che suona come uno sputo P-C-T-O, ovvero «Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento». Non vogliono farlo tutte le forze politiche, tranne i raggruppamenti delle sinistre, candidate alle elezioni del 25 settembre. Basta leggere i lacunosi programmi elettorali per rendersi conto dell’ipocrisia generalizzata che regna nella politica dove quasi tutti hanno governato nell’ultima legislatura.

Il Pd, ad esempio, prosegue l’opera di rimozione delle sue responsabilità politiche come partito. Non basta infatti dire che la stagione renziana è finita. Bisogna abolire e riscrivere le sue leggi, a cominciare proprio dall’alternanza, il cui attuale profilo è stato stabilito proprio da Renzi nel 2015. Da allora mai nessuno più l’ha rivisto.

Davanti al terzo studente morto in meno di un anno il partito ora di Letta compila dichiarazioni addolorate («morte inaccettabile», «terribile tragedia») e dice «sì» ai «Pcto». Il programma parla di «rafforzare le opportunità di orientamento e prospettive verso la formazione superiore», garantire «la certezza del rispetto della normativa sulla sicurezza e della capacità di assicurare l’apprendimento situato», fare «un costante monitoraggio e per consentire le segnalazioni di eventuali anomalie».

I Cinque Stelle, già nella campagna elettorale del 2018, sembravano voler abolire l’«alternanza». Poi andarono al governo e le cambiarono solo il nome. Al nuovo giro non parlano nemmeno di «Pcto». E recuperano l’incredibile nozione di «scuola dei mestieri». In una mescolanza di fuffa «made in Italy», gerghi manageriali e di pedagogese neoliberale alla moda evocano l’«expertise artigianale», «il savoir-faire tradizionale» per «formare le nuove figure tecniche specializzate nella realizzazione dei prodotti dell’artigianato italiano». Scambiano cioè i «Pcto» con la formazione professionale e, così facendo, aumentano le ambiguità strutturali che tale sistema ha generato negli ultimi sette anni.

Il cosiddetto «Terzo Polo» tra le cui fila c’è Renzi, si propone di riformare il sistema e di adattarla alla politica neo-aziendalista scelta da Draghi e dal ministro uscente dell’Istruzione Bianchi (in quota Pd) per finanziare gli Istituti tecnici superiori (Its) con 1,5 miliardi di euro del Pnrr. Si tratta di un sovradimensionamento colossale di un segmento specifico della formazione aziendale, foriera di nuove possibili disuguaglianze territoriali che squilibreranno ancora di più la formazione tecnico-professionale di nuovo riformata. I renzian-calendiani declinano l’”alternanza scuola lavoro” secondo il modello tedesco che ha una grande ascendenza in un paese subfornitore della Germania. Parlano di «percorsi duali in apprendistato» il cui scopo è «anticipare il contatto dei giovani con il mondo del lavoro». Nessuna considerazione sul fatto che ciò significa inserire gli studenti nelle dinamiche necropolitiche del lavoro e esporli al rischio di entrare nel tragico conteggio dei morti e dei feriti.

Le destre, annunciate vincitrici delle elezioni, si tengono le mani libere. Parlano di «riforma dei Pcto». Sconosciuta è la direzione che potrebbe prendere una nozione così vaga e inconsistente. Però questo è un segnale indicativo della confusione che regna sull’argomento, oltre che la dimostrazione che le destre ritengano superfluo dire qualsiasi cosa su un problema che non è ritenuto tale.

Alla base dei detti, e dei non detti, elettorali c’è una contraddizione di fondo della scuola capitalistica: collegata strutturalmente al mercato del lavoro, e ignara del fatto che dovrebbe invece essere l’espressione di una democrazia, essa esclude l’idea dell’autonomia nei saperi e nelle pratiche. E dunque anche la resistenza contro i ricatti di un lavoro sempre più alienato e brutale. Di questo non si discute nemmeno tra i sindacati che chiedono tutt’al più «una modifica normativa», l’«abolizione dell’obbligatorietà», «standard rigorosi e vincolanti per le imprese». Richieste anche giuste, ma prima andrebbe ripensato il senso della scuola, e del mercato del lavoro. Un programma politico minimo, ma necessario per superare l’impotenza organizzata in cui agonizziamo.

Ciò che è sconvolgente è che le morti di Lorenzo e Giuseppe prima, lo studente ustionato gravissimo a Merano a maggio, il decesso di Giuliano dell’altro ieri sono stati intesi come eventi eccezionali in un sistema perfettibile. La protesta contro la mostruosa normalità di questa idea è ripresa tra gennaio e aprile di quest’anno e ha resistito anche alle manganellate del «governo dei migliori». è un fiore nel deserto di un paese cinico, intorpidito e assuefatto alla tossicità quotidiana. Il suo futuro è nelle mani degli studenti. E di tutti coloro che non accettano di consegnarli a questo orrore.