Il governo non riceve i sindacati della scuola e «va avanti». Lo sostiene il presidente del Consiglio Matteo Renzi che ieri ha illustrato la sua personale interpretazione sulla crisi della scuola. «Nella comunità di 30 anni fa – ha detto in un comizio ad Aosta – gli insegnanti avevano autorevolezza sociale, poi per colpe varie non è più così. Certo si può ascoltare e migliorare, ma noi andiamo a vanti per restituire alla scuola la funzione fondamentale di guida della comunità altrimenti non usciremo dalla crisi». Spiegato in maniera più semplice, questo significa: i docenti dovranno affidarsi ad un «leader» per migliorare le «performance» e il rendimento dei loro istituti, così come il nostro paese avrebbe fatto «premiando» la leadership di Renzi per uscire dalla crisi. In questa cornice si spiega il ruolo attribuito dal governo e dal Pd al preside «manager», non a caso ribattezzato «sindaco» dal sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone. Si tratta di una proiezione esplicita del vecchio ruolo ricoperto da Renzi a Firenze sulla figura del dirigente scolastico. L’effetto è una «renzizzazione» della scuola.

I sindacati che hanno incassato il successo dello sciopero generale del 5 maggio contro il governo (80% di adesioni tra i docenti e il personale Ata) porteranno il conflitto contro Renzi e il suo partito negli istituti e prospettano la clamorosa protesta dello sciopero degli scrutini a fine anno. In coincidenza (o quasi) con l’approvazione della riforma Renzi-Giannini-Pd in parlamento l’anno scolastico potrebbe anche non chiudersi. Il governo dovrà affrontare conseguenze imprevedibili che coinvolgeranno gli studenti, le famiglie e il personale scolastico. I primi sondaggi parlano chiaro: il 97% dei lettori online della rivista «Orizzontescuola» si è detto ieri deluso dal governo e favorevole al blocco degli scrutini.

Il comunicato congiunto pubblicato ieri da Flc-Cgil, Cisl e Uil Scuola, Gilda e Snals è durissimo: «Dopo tre giorni è irresponsabile da parte del Governo, che avrebbe dovuto rispondere immediatamente ad una protesta così ampia del mondo della scuola e al segnale chiaro di uno sciopero così partecipato, non aver convocato i sindacati su tre punti chiari: precari, superpoteri al dirigente, tutele contrattuali e rinnovo del contratto nazionale». La richiesta di queste organizzazioni è cambiare «radicalmente» il Ddl in discussione in parlamento.

In più, i sindacati non si accontentato degli emendamenti proposti ieri dal Pd: le graduatorie ad esaurimento (Gae) si chiuderanno per svuotamento; nessuna assunzione epr 23 maestri della scuola d’infanzia in attesa dell’approvazione della relativa legge; il Pd non cambia idea sul blocco delle supplenze dopo i 36 mesi, anche se la norma non sarà retroattiva; i contestati «albi territoriali» diventeranno «subprovinciali», ma i docenti saranno sempre scelti dal preside con i super-poteri, compreso quello di reclutare personalmente il docente e di aumentargli lo stipendio. Infine si pensa di affiancare genitori e studenti al preside quando si tratterà di assegnare il «premio» al docente «meritevole». In pratica una chiamata in correo nella definizione di una competizione senza quartiere tra i docenti alla caccia di un legittimo aumento dello stipendio. Anche questi «presidi manager» saranno valutati ogni tre anni da un «comitato di valutazione» istituito presso gli uffici scolastici regionali. «In assenza di adeguate risposte – assicurano i sindacati – la mobilitazione continuerà fino a coinvolgere le attività di scrutinio finale».

Il conflitto non sembra turbare più di tanto il presidente e il vicesegretario Pd, Orfini e Guerini, che ieri hanno hanno avuto una reazione lunare. «Vogliamo rendere il Ddl più condiviso possibile» ha detto il primo. Sembra ormai escluso lo stralcio dal Ddl di un decreto d’urgenza sulle assunzioni dei 100.701 precari a settembre. Saranno approvate con il Ddl, ha detto il secondo per il quale gli incontri con i sindacati sono stati un’occasione «di conferma della condivisione del Pd su questa riforma». Nel Pd sarà anche così, ma a sentire i sindacati nel resto del mondo della scuola non c’è alcuna condivisione. Lo scontro che si prepara è duro.