Il rigore di bilancio non perdona e il governo Renzi fa dietrofront sul personale scolastico «Quota 96». Dopo l’esclusione di pensionati e partite Iva dal bonus Irpef da 80 euro, l’esecutivo è stato costretto ieri a cancellare la pensione degli «esodati della scuola», i «quota 96», coloro che hanno maturato i requisiti pensionistici prima dell’entrata in vigore della legge Fornero avendo accumulato 60 anni di età e 36 di servizio – o 61 anni di età e 35 di servizio, per un totale di «96». È uno dei quattro emendamenti soppressivi al Decreto legge sulla pubblica amministrazione che ieri ha iniziato l’iter dell’esame dei 650 emendamenti in commissione Affari costituzionali del Senato.

Il ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia ha cancellato anche l’emendamento sui benefici previsti per le vittime di atti di terrorismo (1 milione di euro), quello sulla cancellazione delle penalizzazioni prevista dalla legge Fornero per le uscite anticipate dal lavoro e, infine, la misura che eliminava il tetto dei 68 anni per i professori universitari e i primari a proposito dei limiti d’età per il pensionamento d’ufficio. Gli universitari interessati sono 1546. Il loro pensionamento è quello più oneroso. Su questo capitolo, per il ministero dell’Economia non c’è un centesimo.

Contro questa misura si erano schierati filosofi quali Roberto Esposito, Michele Ciliberto o Maurizio Ferraris che hanno denunciato la «rottamazione» di «competenze e saperi di cui invece università e sanità hanno vitale bisogno». L’appello a mantenere la norma che permette di restare in cattedra fino ai 70 anni, e non a 65, aveva scatenato una dura polemica tra il populismo renziano della guerra dei «vecchi contro i giovani» e le accuse di «corporativismo» e gerontocrazia contro i «baroni». Su tutto la quasi certezza che i pensionati non verranno sostituiti a causa del blocco del turn-over e della mancanza di risorse che strozza il pubblico impiego.

Massimo Cozza, segretario nazionale Fp-Cgil Medici, evidenzia l’assenza di staffetta generazionale: «Resta assente ogni vincolo di contestuale assunzione di giovani medici con le risorse che si libereranno per i pensionamenti d’ufficio». Questa palude era stata anticipata dallo zar della spending review Carlo Cottarelli nel contestatissimo (dal governo) blog sulla tentazione – assai poco «rigorosa», nell’ottica di una politica economica ispirata all’«austerità espansiva» – di tagliare la spesa sociale per finanziare una nuova spesa futura. E lo avevano confermato anche i tecnici della ragioneria dello Stato: i soldi non ci sono per una pensione pari a 28 mila euro annui per 4 mila persone. Nel 2014 mancano 10 dei 45 milioni di euro preventivati. Entro il 2018 il governo ne dovrebbe trovare complessivamente 416. Sempre che i «Quota 96» siano effettivamente 4 mila. Quando all’Inps è stato chiesto un censimento, la cifra era più che doppia: 9 mila persone.

Per la seconda volta in un anno, il partito democratico ha dovuto fare marcia indietro. Una situazione che ha imposto al presidente del Consiglio Matteo Renzi di intervenire per spegnere l’incendio: «L’emendamento non c’entrava nulla con la ratio della riforma della P.A – ha detto – è stato giusto toglierla dal decreto». Una giustificazione tardiva visto che l’intero Pd si è speso, trovando l’intesa con tutti i partiti dell’arco costituzionale. Ieri si parlava di un intervento riparatore a fine agosto rivolto ad una platea più ampia rispetto alla «quota 96».

I sindacati sono furiosi. «Una beffa di Stato che denota una mancanza di serietà intollerabile da parte delle istituzioni» – afferma Rino Di Meglio, coordinatore Gilda – Dopo due anni di calvario, 4 mila insegnanti assistono impotenti per la seconda volta allo scippo della pensione maturata legittimamente e tutto ciò avviene perchè viviamo in un Paese dove la politica è fatta soltanto di annunci». Per Francesco Scrima, Cisl Scuola, «chi si apprestava a lasciare il lavoro viene bruscamente costretto a modificare i suoi progetti di vita. Sarebbe bastato riconoscere la particolare disciplina delle cessazioni dal servizio del personale scolastico per evitare sperequazioni che invece ci sono state e alle quali è doveroso porre rimedio». «Non è accettabile tornare indietro su una norma che sana errori e palesi ingiustizie – afferma Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) – Il risultato è che si commette un’ingiustizia ancora più grave». L’Anief annuncia «battaglia spietata nei tribunali».

Per Nichi Vendola (Sel), «continua l’intenso riformismo del governo senza riforme». «Il Pd si è cosi giocato faccia e credibilità» sostiene Celeste Costantino (Sel). Il dietrofront è stato giudicato «vergognoso» dal Movimento 5 Stelle.