Entro Natale dal regolamento delle materne comunali di Bologna potrebbe sparire la frase: «La scuola comunale dell’infanzia è gratuita per tutti». Uno shock per una città dove i movimenti per la scuola pubblica sono sempre stati fortissimi. Al posto dell’accoppiata scuola gratuita-mensa a pagamento, il Comune guidato dal sindaco Pd Virginio Merola ha deciso di accorpare tutto in un’unica «tariffa di frequenza».

Complice una recente sentenza del tribunale di Torino, che ha sancito il diritto del pasto preparato a casa e consumato a scuola, il Comune di Bologna ha deciso di correre ai ripari nel modo più dirompente: scrivendo nero su bianco che il momento della mensa è parte integrante dell’offerta formativa e, allo stesso tempo, cancellando con un tratto di penna la gratuità della scuola d’infanzia comunale, fino ad oggi totem di tutte le amministrazioni di sinistra della città.

Poco importa che il Comune abbia annunciato che le tariffe diminuiranno dal 2018. A chiedere lo stop del provvedimento, che dovrà passare dal voto del consiglio comunale, sono tutti i sindacati. La Cgil parla di «stravolgimento dell’approccio politico al tema dell’universalità dell’accesso alla scuola dell’infanzia attraverso un approccio da mero atto amministrativo». Traduzione: per superare il problema di 40 genitori su 5 mila (stima per eccesso) che preferiscono il panino alla mensa, l’amministrazione non esita a cancellare il principio della gratuità della scuola comunale.

A complicare la questione le recenti dichiarazioni dell’assessora alla scuola e vicesindaca Marilena Pillati. «Se a qualche genitore non sta bene il provvedimento, potrà sempre mandare i figli alle scuole materne statali». Apriti cielo. «A Bologna – ha dichiarato il sindacato Sgb, molto forte in città tra i dipendenti comunali – la scuola pubblica comunale è ancora sotto assedio da parte di chi dovrebbe proteggerla e, ad oggi, ci risiamo con l’ennesima prova di demolizione da parte di questa giunta».

Critiche e attacchi sono arrivati da ogni parte politica. Dalla sinistra di Coalizione Civica, al M5S con l’attivissima consigliera Elena Foresti che da subito ha sollevato il problema parlando di «provvedimento gravissimo», passando addirittura per Forza Italia che si è trasformata in un’improbabile paladina della scuola pubblica.

Atteso al varco il Pd, che sarà decisivo per l’approvazione di un provvedimento che potrebbe segnare un punto di svolta. «Qui si apre una falla, poi la diga verrà giù magari con un’amministrazione di un altro colore politico», ragionano i genitori dell’Osservatorio mense, sorpresi per non essere mai stati informati delle intenzioni della giunta. Reazione dura anche dal comitato bolognese Scuola e Costituzione: «Questa strada porterà all’equiparazione tra la scuola pubblica e quella privata».

Il sindaco Merola spiega (in ritardo) il senso di una scelta altrimenti incomprensibile: «La tariffa di frequenza eliminerà il fatto che noi dobbiamo pagare per i servizi delle scuole dell’infanzia l’Irap, che ora equivale ad 1,3 milioni all’anno». Anche con quei risparmi, promette il sindaco, il Comune dimezzerà le tariffe dei nidi. «Se per fare questo devo chiamare una cosa ’tariffa di frequenza’, non ho dubbi: faccio questa scelta», dice Merola liquidando come «ideologica e deprimente» la discussione esplosa in città. Ma le polemiche restano, e c’è chi fa notare come l’articolo 1 della storica legge che nel 1968 istituì le scuole materne statali parli, senza giri di parole e considerazioni contabili, di «frequenza gratuita».