Un ensemble atipico per un suono sospeso in luoghi difficili da dire e dunque memorabili. Giulia Barba, clarinetto basso e composizioni, Marta Ravaglia, voce, Daniele D’Alessandro al clarinetto e Andrea Rellini al violoncello: questo il peculiare quartetto che dà vita a questo disco che ci svela il dettato personale e libero di una musicista che non ha timore nell’esplorare le zone liminali e pericolose dove ci si sporge sul precipizio del silenzio. Sedici composizioni nitide e rarefatte equamente suddivise tra scrittura ed improvvisazione. Canzoni dense di attese, satori sottovoce, agguati all’ovvio, in una fertile zona d’ombra dove le pulsioni di certo avant-jazz si incontrano con la musica da camera, lo swing sbilenco della scuola olandese (Barba ha studiato anche ad Amsterdam) incontra ad un crocicchio una carovana che solleva polvere novecentesca. L’intimo respiro di un’ orchestra in miniatura, un groove tutto per aria, ombre antiche di musica sacra (Requiem), nenie in un mondo senza tempo, senza gravità (Bassorilievo). «In noi portiamo tutta la musica: essa giace negli strati profondi del ricordo. Tutto ciò che è musicale è reminiscenza. Al tempo in cui non avevamo un nome, abbiamo, probabilmente, udito tutto» (Emil Cioran)