Uno dei due vincitori delle elezioni del 4 marzo, Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle), ha indicato nel Documento di Economia e Finanza (Def), da presentare in parlamento entro il 10 aprile e inviare alla Commissione Europea entro la fine di quel mese, come un possibile terreno d’intesa dopo le elezioni del 4 marzo. Il secondo vincitore – Matteo Salvini a nome della coalizione di centro-destra – ha risposto di non «sapere» se vuole «convergere con i 5 stelle, ma noi non proponiamo un reddito per pagare la gente per stare a casa».

Il «reddito dei Cinque Stelle è il contrario: si propone di mettere al lavoro precari e disoccupati secondo lo schema del «workfare». Salvini accredita l’idea di un M5S «sudista», premiato dai meridionali che vogliono assistenza. Rappresentazione falsa, tanto di moda tra i circoli mediatici mainstream, che fa tanto leghismo e razzismo anti-meridionale. Lui deve marcare le distanze con la proposta classista di «flat tax». «A Bruxelles saranno contenti perché tutti sono contenti se l’Italia cresce». Parole in libertà.

È un altro degli effetti di quel colpo di genio della legge elettorale che ha prodotto due vincitori senza una maggioranza. I contendenti passeranno le prossime settimane in una guerra di posizione. E così hanno trasformato il Def nella prosecuzione della campagna elettorale. Il Def è un testo programmatico che aggiorna gli indicatori macroeconomici (Pil, deficit, debito, interessi, tasso di disoccupazione e occupazione) secondo le proiezioni, spesso fantasiose, dei governi in carica.

Il primo problema: il 10 aprile, con ogni probabilità, non ci sarà un governo nuovo. E, salvo colpi di scena, nemmeno a fine mese, o inizio maggio, un termine (sembra) posto dalla Commissione Ue dopo il quale il limite avrà superato la pazienza. Si sta profilando questa situazione: il governo Gentiloni, ombra di se stesso, il «facente funzioni» di un esecutivo ignoto dovrà impostare lo schema del Def a partire dai macro-dati sulla crescita e dare vaticinii sul prossimo triennio. Ma, visto che non arriverà (forse) a fare la legge di bilancio di fine anno dovrà concordare qualcosa con i tre poli (c’è anche il Pd, devastato) che non sono d’accordo su nulla. Dalle parti dei Cinque Stelle ieri c’era qualcuno che auspicava una «telefonata di cortesia» con la quale l’esecutivo in carica dovrebbe comunicare la sua proposta.

Il secondo problema è che nessuno sa quale governo porterà a termine la «proposta» in autunno. Sempre ammesso che un esecutivo – composto a maggio o a ferragosto – non cambi idea su un provvedimento presentato mesi prima che dovrà eseguire le prescrizioni già indicate dai custodi dell’ordine economico di Bruxelles nel «rapporto d’inverno» già depositato in questa settimana: stabilizzare il debito pubblico al 130% del Pil, rimediare ai guai creati dai crediti deteriorati sul sistema bancario, trovare una soluzione alla disoccupazione «ancora alta».

L’unica certezza è sterilizzare le «clausole di salvaguardia», il regalo lasciato a futura memoria dal governo Berlusconi del 2011 (appoggiato dalla Lega): all’incirca 20 miliardi all’anno da trovare con misure aleatorie di contrasto all’evasione, sanatorie sulla detenzione non dichiarata di capitali all’estero (voluntary disclosure), tagli occasionali chiamati «spending review». Di solito si aggiunge una manciata di miliardi (regalìe alle imprese, incentivi, bonus per qualche emergenza, anche sociale) e la «manovra» è fatta.

In questo teatro si possono apprezzare le interpretazioni dei personaggi. In attesa dell’elezione dei presidenti delle camere, e delle commissioni che dovranno esaminare il Def, i Cinque Stelle incarnano sempre più la parte dei «responsabili». Non vogliono più aprire il parlamento come «una scatoletta di tonno». Ora lo vogliono illuminare con una «lampadina gialla» (Di Maio) con toni che non sfigurerebbero in bocca a Pierre Moscovici, commissario europeo all’Economia. Ci sono fonti che hanno fatto sapere che la proposta che arriverà nei prossimi giorni sarà ispirata a «prudenza» sulla volontà di sforare il tetto del 3% sul Pil (addio suggestione elettorale). Si parla di lavorare sulla riduzione degli sprechi. Evocate «politiche espansive», investimenti pubblici ad alto moltiplicatore». Obiettivo: «garantire la felicità e un’alta qualità della vita agli italiani». Una strada che passa dalla composizione di una maggioranza e di un governo remoto. La felicità, tema impegnativo in questo paese, è lontana. Sempre che passi da un governo qualsiasi.