Renzi è tornato dalla gita in California, lo stato Usa dove si sta sperimentando un «reddito di cittadinanza» con mille persone a Oakland, con la proposta opposta del «lavoro di cittadinanza»: l’obbligo di lavoro per tutti i precari e disoccupati, gestito dallo Stato garante in ultima istanza del «lavoro pubblico garantito». Per l’ex premier e ex segretario del Pd questa sarebbe la soluzione ai problemi provocati dalla «rivoluzione digitale e dai costi in termini di perdita di posti di lavoro».

Non il reddito di base finanziato dalla fiscalità generale e dalla tassa sull’automazione, la proposta avanzata dal socialista francese Benoit Hamon candidato all’Eliseo, ma una forma non ancora definita di sussidio legato all’inserimento lavorativo mediato nella logica premiale/punitiva del workfare. In attesa di ulteriori chiarimenti sul nuovo sistema, arriveranno forse al Lingotto di Torino dove dal 10 al 12 marzo Renzi aprirà «i cantieri sul programma» per la corsa alle primarie del Pd, continua la sua battaglia contro il «reddito di cittadinanza» proposto dal movimento 5 Stelle.

A suo avviso, la proposta pentastellata scinde il rapporto tra lavoro e dignità stabilito dal primo articolo della Costituzione. «Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo uno che parla di lavoro non di stipendio – sostiene Renzi – Serve invece un lavoro di cittadinanza». In realtà la proposta dei Cinque Stelle non parla di «stipendio», né è un reddito di cittadinanza, ovvero un’erogazione incondizionata di risorse dirette o indirette a tutti i residenti, indipendente dal lavoro, e volto allo sviluppo della personalità e della capacità di lavoro dei singoli. Si tratta di un reddito minimo, alquanto restrittivo, che rispetta il dettato costituzionale, fissa un importo pari a 780 euro (massimale del reddito mediano stabilito dall’Unione Europea) e chiede al destinatario l’accettazione di una proposta di lavoro. Differenze scomparse nella mischia in attesa della presentazione di oggi della proposta dei Cinque Stelle sui vitalizi dei parlamentari equiparati alle pensioni dei lavoratori. Per il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio «il lavoro di cittadinanza è la solita strategia di marketing di Renzi». «Ha passato anni a Palazzo Chigi. Ci chiediamo perché non ci abbia pensato prima» rilanciano gli eletti M5S nelle commissioni lavoro al Senato e alla Camera che denunciano l’occultamento del loro disegno di legge sul reddito. Tra l’altro ci sarebbero anche la proposta sul reddito minimo di Sel/Sinistra Italiana generato da una legge di iniziativa popolare.

Il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, starebbe preparando una proposta su un lavoro di cittadinanza che impone l’occupazione di 3 mesi a chi ne farà domanda. I tre mesi di lavoro daranno diritto a trascorrerne altrettanti con un’indennità di disoccupazione. In questa gigantesca confusione ideologica, e giuridica, ieri la segretaria della Cgil Susanna Camusso è apparsa prudente. Sostiene che la proposta di Renzi sul «lavoro di cittadinanza» sia «uno slogan». «Più che in California, sembra che Renzi sia andato su un altro pianeta – attacca il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni – Il Jobs Act ha ristretto i diritti nel mondo del lavoro e ha ristretto l’occupazione aumentando la precarietà. Serve redistribuire reddito e lavoro:per il governo Gentiloni è il momento di fare un passo in avanti nel mondo reale».

Il governo sembra determinato a portare a termine il lungo, ed estenuante, iter legislativo che porterà alla definizione del reddito di povertà chiamato reddito di inclusione sociale: il «Reis». Mercoledì 22 febbraio la commissione lavoro del senato ha approvato il disegno di legge del governo sulla povertà. Il provvedimento andrà in aula per l’approvazione. Si tratta di una legge delega che autorizza il governo a trasformare l’attuale sussidio di ultima istanza, il «Sia» – fino a 320 euro mensili per famiglie poverissime con cinque membri – nel «Reis». In questa misura confluirà la «social card» di tremontiana memoria, una carta acquisti da 40 euro al mese da spendere in negozi convenzionati o bollette e destinata a famiglie con bambini da zero a tre anni e anziani over 65 in condizioni di povertà assoluta. Sono stati stanziati 1 miliardo per il 2017, 1.054 per il 2018. Questo sussidio di ultima istanza, che non è un «reddito minimo», coprirà almeno 800 mila persone. In Italia i poveri assoluti sono 4,6 milioni. Gli altri 3,8 milioni restano in attesa. Senza contare gli oltre 8 milioni di italiani, «poveri relativi», definibili anche come «working poors»: lavoratori poveri.