Le monarchie sunnite vanno d’amore e d’accordo quando si danno da fare per isolare l’Iran sciita ma su altri temi litigano sempre più spesso. Dopo la rottura delle relazioni nel giugno 2017 tra l’Arabia saudita e il Qatar, che ha aperto una voragine nel Golfo che non accenna a chiudersi, ora si spezza il rapporto, solidissimo per decenni, tra il Marocco e Riyadh. Rabat ha interrotto la sua partecipazione alla Coalizione militare a guida saudita impegnata nella guerra in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi e ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore in Arabia Saudita, Mustapha Mansouri. Un fulmine ma non a ciel sereno. La tensione era nell’aria da settimane, in particolare da quando, il mese scorso, la tv qatariota al Jazeera ha trasmesso un’intervista al ministro degli esteri marocchino Nasser Bourita che ha espresso preoccupazione per la crisi umanitaria in Yemen annunciando indirettamente che il Marocco avrebbe fatto un passo indietro, come è poi avvenuto.

«La nostra posizione è cambiata a causa di sviluppi sul terreno…specialmente per quanto riguarda la situazione umanitaria», aveva dichiarato Bourita in riferimento a quattro anni di bombardamenti incessanti e al collasso economico e sanitario dello Yemen dove 14 dei 29 milioni di abitanti soffrono la fame e sopravvivono grazie soltanto agli aiuti umanitari internazionali. Il ministro degli esteri aveva inoltre spiegato l’assenza di una tappa anche a Rabat del recente tour tra Medio oriente e Nord Africa del potente erede al trono saudita, Mohammed bin Salman (noto anche come MbS), come la conseguenza dell’agenda particolarmente «piena» di re Mohammed VI. Una giustificazione che i sauditi non hanno digerito. Il motivo vero, sanno bene, è la decisione del Marocco di non ricevere Mbs, accusato da più parti di essere il mandante dell’assassinio a Istanbul del giornalista saudita Jamal Khashoggi e considerato un futuro re troppo spregiudicato e ambizioso. Riyadh ha reagito ordinando alla tv al Arabiya, di proprietà saudita, di mandare in onda un documentario contro l’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco e la negazione dei diritti del popolo sahrawi. Da qui il richiamo dell’ambasciatore marocchino in Arabia saudita. La tensione comunque covava sotto la cenere da almeno un paio di anni e non è servita ad allentarla la rottura annunciata nel 2018 dal Marocco dei rapporti con l’Iran nel tentativo di compiacere Riyadh. Ad irritare la monarchia Saud è la neutralità scelta da Mohammed VI nella disputa che spacca il Golfo. I sauditi si attendevano dal Marocco una adesione piena al boicottaggio economico e diplomatico del Qatar.

Tuttavia a Riyadh in queste ore non si pensa alla tensione con il Marocco ma a come difendere l’erede al trono Mbs, di nuovo sotto pressione per le ultime rivelazioni del New York Times: nel settembre del 2017 il principe ereditario diceva in una conversazione telefonica intercettata con il consigliere Turki Aldakhil, di voler usare «una pallottola» per uccidere Khashoggi. «L’operazione per uccidere Khashoggi non è mai stata autorizzata» si è affannato a ripetere ieri il ministro di stato per gli affari esteri Adel al Jubeir che ha definito «assurde» le accuse rivolte a Mohammed bin Salman. Il cerchio però si stringe e pesano non poco le parole di Agnes Camallard, relatrice speciale dell’Onu sulle uccisioni extragiudiziali, arrivata alla conclusione che Khashoggi sia stato «vittima di un’uccisione brutale e premeditata, pianificata e perpetrata da funzionari dell’Arabia Saudita». La relatrice dell’Onu aggiunge che gli sforzi della Turchia di condurre indagini in linea con il diritto internazionale sarebbero stati minati dall’Arabia Saudita. La relazione finale della Callamard, che a giugno sarà presentata al Consiglio per i diritti umani, conterrà una serie di raccomandazioni, anche a fini di responsabilità penale formale.