L’emendamento chiamato «spalma-crediti» non era stato ancora presentato alla commissione finanze del Senato quando, nella prima serata di ieri, il vicepremier Antonio Tajani (Forza Italia) ha rinvigorito la polemica che lo ha contrapposto per tutta la giornata al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti (Lega). Quest’ultimo, mercoledì scorso, ha annunciato di volere spalmare obbligatoriamente i crediti del Superbonus sui prossimi 10 anni per le spese sostenute nel 2024. Così intende recuperare 700 milioni nel 2025 e 1,7 miliardi nel 2026. Per farlo dovrebbe istituire una «retroattività limitata», non estesa cioè a tutto il periodo del bonus 110% ma solo all’anno in corso. La norma è stata ritenuta necessaria per limitare l’impatto a quanto pare devastante del superbonus sui conti dello Stato, a partire dal deficit (al 7,4% nel 2023).

TAJANI IERI HA DETTO di «avere qualche perplessità sulla retroattività: 10 anni sono troppi», di «non essere stato consultato», che «non è un atto del governo», che «Giorgetti ha deciso da solo» e che «aspetta di leggere il testo». Il nervosismo scorreva copioso ieri tra telefonate e dichiarazioni irritatissime. A un certo punto Giorgetti ha smesso di giorgettizzare e ha alzato la voce: «Io ho una responsabilità e difendo gli interessi dell’Italia, chiaro?». A quel punto Tajani, che fa il ministro degli Esteri, si è sentito chiamato in causa e ha ribadito che anche lui «difende gli interessi dell’Italia». A quanto pare, nel corso dell’intera settimana, non c’è stato modo di dirselo di persona, trovando un accordo in nome della patria, e una soluzione prima dell’annuncio fatale. «Aspettate i testi, non ascoltate fantasie» ha detto Giorgetti. In serata, mentre abbiamo scritto questo articolo, c’erano solo le «fantasie». Una soluzione sarà trovata, Ma non è detto che basterà per risolvere i problemi. I guai sono solo spalmati.

LA «RETROATTIVITÀ» è lo scoglio sul quale si è arenato il governo. Secondo i costruttori dell’Ance la retroattività della norma pensata da Giorgetti potrebbe mettere a rischio almeno «16 miliardi» di crediti. Altre valutazioni, emerse nella giornata di ieri, hanno calcolato che la «retroattività» potrebbe riguardare 4-5 miliardi di spese già effettuate nel 2024 e può mettere a rischio altri 5 miliardi e spiccioli per i cantieri in condomini in attesa di essere completati. L’idea di «spalmare i crediti» da 4 a 10 anni, infatti, potrebbe comportare la svalutazione della moneta fiscale usata dai condomini per pagare i lavori di circa il 15% del suo valore a causa dell’allungamento dei tempi di recupero. Verrebbero a mancare circa 600 milioni di pagamenti virtuali che dovranno essere concretizzati.

ALL’ORIZZONTE potrebbe profilarsi un peggioramento della realtà che già in molti hanno potuto sperimentare in questi anni: contenziosi legali a non finire tra condomini e imprese su chi dovrà pagare la differenza e, si dice, anche un aumento dei rischi di fallimento tra queste ultime. A tale proposito Confedercontribuenti ieri ha stimato che tra le 8 e le 10 mila aziende edili potrebbe chiudere e licenziare.

DELLA PROPOSTA DI GIORGETTI il presidente dell’Abi Antonio Patuelli non ha digerito il fatto che si debba «pagare tasse in termini retroattivi, senza certezza del diritto». Questo è un problema posto anche da Forza Italia: l’«incostituzionalità» di una norma fiscale applicata a posteriori. Il che significa che le regole già malconcepite in partenza cambiano di continuo e mandando in tilt i bilanci di chi resta in ostaggio delle triangolazioni tra banche e imprese in un’economia finanziarizzata.

«DA QUESTA GIORNATA – ha detto il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia – abbiamo capito una sola cosa: il governo e la maggioranza sono spaccati, Forza Italia non è d’accordo con il ministro dell’economia Giorgetti». «Hanno avuto mesi per trovare una soluzione che non riescono a trovare – ha detto Cristina Tajani, capogruppo del Pd in commissione Finanze al Senato – Il parlamento non può essere a servizio del governo».