«Il fatto non sussiste». L’ex sindaco di Roma Ignazio Marino è stato assolto definitivamente dall’accusa di peculato e falso per la vicenda degli scontrini delle 56 cene di rappresentanza pagate con la carta di credito del Comune. La Corte di Cassazione ha infatti annullato senza rinvio la condanna a due anni di reclusione inflitta l’11 gennaio 2018 dalla Corte d’Appello che, con una sentenza a dir poco discutibile, aveva annullato la piena assoluzione del primo grado. In entrambi i gradi di giudizio invece Marino era stato assolto dall’accusa di truffa per le consulenze della Onlus Imagine.

«HANNO VINTO LA VERITÀ e la giustizia. Era ora – ha commentato Ignazio Marino che in questi anni è tornato ai suoi studi sul trapianto degli organi e ad insegnare all’università di Philadelphia – La sentenza della Cassazione non rimedia ai gravi fatti del 2015, alla cacciata di un sindaco democraticamente eletto e di un’intera giunta impegnati senza fare compromessi per portare la legalità e il cambiamento nella Capitale d’Italia. Una ferita per la democrazia che non si rimargina. Per le valutazioni politiche e le responsabilità individuali ci sarà tempo, domani – continua la nota dell’ex “marziano” – Oggi è il tempo delle considerazioni personali. E non posso che ripetere a testa alta, come ho sempre fatto, ciò che ho sostenuto dal primo giorno in cui mi sono state rivolte accuse infondate e infamanti: non ho mai utilizzato denaro pubblico per finalità private. È piuttosto vero il contrario. E finalmente oggi è chiaro e tutti, anche a coloro che mi hanno infangato provocando dolore e imbarazzo a me e alla mia famiglia».

I GIUDICI DELLA SUPREMA Corte hanno dunque accolto appieno, dopo una lunga camera di consiglio, la richiesta del sostituto procuratore generale Mariella De Masellis secondo la quale l’ex sindaco dem aveva tutto il diritto di pagare con la carta di credito che gli era stata affidata quelle 56 cene di rappresentanza, per un totale di 12.700 euro messe in conto spese del Campidoglio.

«Il fatto non sussiste», quello stesso «fatto» che – insieme al tormentone della Panda rossa – venne utilizzato a metà del 2015 dal Pd di Matteo Renzi, e dal suo principale quotidiano di riferimento, per una campagna mediatica di rara aggressività al fine di depotenziare e poi defenestrare il «marziano» dem, troppo poco controllabile e non in linea con il partito dei due Mattei. Un partito che a Roma era già in fin di vita e che non riusciva a rialzarsi dallo tsunami dell’inchiesta Mafia Capitale che non lo aveva risparmiato. Come si ricorderà, dopo quella campagna mediatica, maturarono i tempi per costringere 26 consiglieri di maggioranza a firmare contemporaneamente davanti a un notaio le dimissioni che decretavano la fine della giunta Marino.

ORA PERÒ IL PRESIDENTE del Pd Matteo Orfini nega tutto: «Ribadiamo, come abbiamo già fatto quando sono uscite le sentenze di primo e secondo grado, che ovviamente siamo contenti per lui ma come spiegammo allora quella degli scontrini è stata una vicenda che nulla aveva a che fare con una scelta che facemmo per un giudizio politico».

Naturalmente anche il Movimento 5 Stelle ha dimenticato tutto: il 7 ottobre 2015 gli allora consiglieri comunali Virginia Raggi, Marcello De Vito (in carcere con l’accusa di corruzione), Daniele Frongia (indagato per corruzione) ed Enrico Stefàno presentarono un esposto sulle «irregolarità» che a loro avviso presentavano quattro note di spesa dell’allora sindaco Marino, tre riguardanti cene e una relativa a un viaggio a Philadelphia. E l’avvocato Enzo Musco, difensore di Marino, invita «a rivedere quel video di De Vito pubblicato il 2 ottobre del 2015 dove si evincono le modalità con le quali si volevano acquisire i documenti contabili della Giunta Marino».

Niente da fare: «Marino fu attaccato e criticato non per le questioni della Panda o degli scontrini, ma per la sua incapacità di amministrare Roma – riesce invece a dire il capogruppo M5S in Campidoglio Paolo Ferrara – Marino aveva fallito ed eravamo tutti d’accordo che doveva andare a casa, da Renzi in poi». Ma si sa, l’amnesia politica è perniciosa quanto il giustizialismo politico.