In Brasile, la polizia di San Paolo ha represso con gas lacrimogeni una seconda giornata di manifestazioni contro l’aumento dei trasporti pubblici. Ci sono stati diversi feriti e almeno 11 detenuti. Dall’inizio dell’anno, almeno 18 città, in gran parte governate dalla destra, hanno aumentato il prezzo del trasporto pubblico, provocando le proteste dei cittadini. Altri scontri, arresti e feriti vi sono stati anche venerdì scorso a San Paolo, Rio De Janeiro e Belo Horizonte durante manifestazioni analoghe: portare il biglietto a 3,80 reales (circa un dollaro) è un abuso che colpisce le famiglie dei lavoratori, dicono i manifestanti (in gran parte giovani).

Nel 2015, i prezzi in Brasile sono aumentati del 10,7%, superando ampiamente il limite che a gennaio scorso si era posto  l’equipe economica del governo di Dilma Rousseff (il 6,5%). Secondo l’istituto brasiliano di statistica si è trattato dell’aumento più alto dal 2002 (12,53%). Nel 2014, l’inflazione dichiarata è stata del 6,4% e nel 2015 ad aumentare di più sono stati i costi per la casa (18,31%), quelli degli alimenti (12,03%) e dei trasporti (10,2%). Secondo la Banca Centrale, per la prima volta in 12 anni, l’inflazione supererà il limite stabilito e il Pil tornerà a contrarsi come nel 2015.
Cifre amplificate dalle grandi agenzie internazionali e dai loro terminali brasiliani, che descrivono un paese in crisi economica e politica, complice la caduta del prezzo del petrolio e gli attacchi alla presidente, che stanno quasi paralizzando il Governo e il Congresso. Al centro delle trame contro Dilma c’è il presidente della Camera, Eduardo Cunha, che vorrebbe portarla a processo e arrivare all’impeachment per presunti finanziamenti illeciti alla campagna elettorale di Rousseff. Cunha è a sua volta indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta della petrolifera di Stato Petrobras. Il Supremo Tribunal Federal (Rsf), la più alta corte brasiliana ha tolto il segreto bancario a Cunha, alla moglie e alla figlia, per verificare se i suoi conti in Svizzera sono serviti per depositare denaro sporco.
Per le pressioni della piazza, a dicembre scorso Rousseff è entrata in conflitto con il ministro delle Finanze, l’ultraliberista Joaquim Levy: che si è dimesso e ora va a dirigere la Banca mondiale, a Washington. Per pagare il debito estero, Levy avrebbe voluto tagliare i piani sociali portati avanti prima da Lula da Silva e poi da Dilma Rousseff, quelli di Bolsa Familia, destinati ai figli di famiglie povere in età scolare. Adesso Levy, formato alla scuola di Chicago, tornerà nel suo ambiente naturale.
Intanto, Rousseff ha vinto il braccio di ferro con il governo israeliano, che voleva nominare ambasciatore a Brasilia l’ex rappresentante dei coloni, Dani Dayan. La nomina di Dayan, che dal 2007 al 2013 ha presieduto il Consiglio Yesha, organo che rappresenta i coloni di Gerusalemme e Cisgiordania aveva provocato un’ondata di proteste e alla fine Netanyahu ha dovuto cedere e annullare la nomina.