La convulsa e drammatica evoluzione delle vicende legate alla Brexit dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che la partita decisiva per gli equilibri geopolitici mondiali nei mesi a venire si svolgerà in Europa ed è per questo che le prossime elezioni europee avranno un’importanza senza pari. È in Europa, infatti, che è nata la concezione moderna della politica – oggi sotto attacco – proprio come punto di vista generale su una realtà non da rispecchiare ma da cambiare.

Ed è a partire dall’Europa che si può tentare di sconfiggere la rimessa in discussione di tale concezione, sconfiggendo l’eredità avvelenata del neoliberismo, la spoliticizzazione contemporanea, il leaderismo e il personalismo come carica selvatica e divisiva, il ridimensionamento dei corpi intermedi quali i sindacati, lo svuotamento dei partiti come strutture educative e luoghi di mediazione e di rappresentanza, il dominio dell’immagine e della comunicazione a scapito del pensiero e della deliberazione, l’annebbiamento di principi valoriali e di tessuti normativi di matrice universalistica.

BISOGNA FRONTEGGIARE l’incontenibile riemergenza dell’«emozionale» come tratto costitutivo del presente, un emozionale oggi non incanalato, non trattato, non controllato e che per questo prende talora le vie dell’espressione violenta, un emozionale per trattare il quale andrebbe innanzitutto ridefinito un territorio in primo luogo etico-cognitivo, entro cui si possano ricostruire per i singoli soggettività, senso, risposte concrete. È per questo che anche per «ripoliticizzare il mondo» è necessaria in primo luogo una «riabilitazione della dimensione morale», interrogandosi su come ripristinare la capacità di produrre norme e obblighi e restituire crucialità alla problematica dei valori troppo sottaciuta dal secolarismo liberale che, con la speranza di neutralizzare le pulsioni distruttive delle guerre di religione, ha confinato le credenze valoriali in un territorio extrapolitico e extrapubblico, nella sfera privata, operandone una sorta di privatizzazione che lega la loro apprezzabilità a uno statuto di mutismo politico.

LA RIPOLITICIZZAZIONE del mondo non potrà avvenire se non a partire dalla ripoliticizzazione del continente europeo e questa, a sua volta, richiede la riattivazione dello straordinario patrimonio valoriale e normativo racchiuso nell’idea di Europa, le cui origini e le cui risorse strategiche rimangono «pensiero» e «filosofia». Non si tratta, quindi, solo del fatto che l’ideale europeo è inscindibile dal paradigma di una «globalizzazione equa», abbandonare il quale vorrebbe dire inoltrarsi nella strada del protezionismo e del nazionalismo. In gioco c’è molto di più: ci sono la possibilità e la necessità di risalire alle fonti valoriali del processo di unificazione europea, da cui si diparte quella pluralità di idee della stessa Europa che ne staglia un volto «plurimo».

L’Europa, infatti, se negli ultimi anni ha visto prevalere le componenti politiche di centro-destra che la vogliono configurare come sola «forza di mercatizzazione», ha però sempre coltivato nel suo seno una pluralità di ispirazioni e anche componenti profondamente progressiste, il che ha portato nel tempo a realizzazioni estremamente positive di cui un momento culminante è stata la Carta dei diritti di Nizza del 2000. La compresenza di distinte linee ideali e di policy è rimasta sempre operante, anche se di volta in volta l’una ha prevalso sull’altra e dal 2010, quando il baricentro della crisi economica globale si è spostato dagli Stati Uniti all’Europa e sono stati adottati il Six Pact, il Two Pact, il Fiscal Compact, ha prevalso la linea più «oscura».

PROPRIO LA CONSTATAZIONE che il patrimonio valoriale sottostante all’Europa unita non è mai andato disperso e che anzi, quando attivato, ha consentito di generare fasi di eccezionale mobilitazione e maturazione civile deve spingerci oggi alla sua riscoperta e al suo rilancio. Può animarci l’assunzione del processo europeo come processo costituzionale incompiuto, in una duplice accezione dalla quale far scaturire ampiezza e forza: costituzione in senso classico, cioè carta costituzionale, costituzione in senso lato, cioè valori e strutture normative. Nelle Costituzioni moderne, infatti, si condensa sempre un apprendimento tanto cognitivo quanto normativo di portata straordinaria, ciò che Walter Benjamin sintetizzava in quel che vedeva come il «tenero compito» per superare l’oltraggio con cui la violenza distrugge il diritto.

LE CONQUISTE RIVOLUZIONARIE sono apprendimenti nelle vie dell’emancipazione umana, dunque portati eccezionali di umanesimo – non potrebbero realizzarsi senza le maturazioni valoriali e normative veicolate dalle Costituzioni.I valori, i doveri e i diritti trattati dalle Costituzioni hanno per definizione un contenuto normativo sovrabbondante perché sono strutturalmente connessi alla portata dinamica di quel progetto collettivo in cui soltanto vive la democrazia e in quanto tali riproducono a livello costituzionale la stessa ambivalenza propria dell’evoluzione dello Stato di diritto.

Anche oggi le formulazioni costituzionali appaiono largamente indeterminate e pertanto disponibili a interpretazioni e concretizzazioni normative che possono essere tra loro diametralmente opposte. Molte maglie rimangono aperte attraverso le quali possono incanalarsi istanze valoriali sovvertitrici dell’ordine dato: avere/non avere, giusto/ingiusto, vero/falso, eguale/diseguale, libero/non libero. E può incanalarsi uno spirito progettuale intenso che coinvolga la riqualificazione ambientale, la critica della neutralità della scienza, la reinvenzione e la generazione del lavoro, l’estensione della democrazia economica.

TUTTO CIÒ APRE LE PORTE verso un mondo nuovo. Del resto, altrettanti chiavistelli normativi di apertura del mondo furono tutti i momenti rivoluzionari con i loro documenti fondativi, dal Dictatus Papae del 1075 alla Dichiarazione del 1789. L’universalismo occidentale è scaturito dal paradigma rivoluzionario grazie all’Europa, che è la prima civiltà che ha concepito se stessa in modo dinamico e la storia come «rivoluzione permanente». Kant venne riconosciuto come il filosofo della Rivoluzione francese anche perché ne salutò le conquiste come «simbolo storico» di un cammino normativo che si voleva irreversibile, le cui chiavi sono universalità, individuazione, emancipazione, eguaglianza, inclusione.