Non che Stefano Scodanibbio avesse bisogno di una consacrazione come compositore, oltre che come straordinario solista di contrabbasso. Le occasioni di rendersi conto della sua importanza in quella veste sono state molte dall’inizio della carriera (anni Ottanta del secolo scorso) in poi. Se vogliamo, l’occasione «definitiva» si è avuta all’edizione del 2013 della Rassegna di Nuova Musica di Macerata, edizione tutta dedicata a musiche sue. Lui, che della Rassegna era stato fondatore e direttore artistico per quasi trent’anni, era morto un anno prima, giovanissimo, l’8 gennaio 2012 a Cuernavaca in Messico. Ma un omaggio ulteriore alla sua arte di scrittore di musiche contemporanee, e contemporanee davvero, cioè pulsanti vita d’oggi, giorni correnti e fuggenti, musiche di pensiero e passione militante, lo offre ora il formidabile Quartetto Arditti con tre concerti: il 9 aprile a Forlì per la stagione di Area Sismica e l’11 e 12 a Macerata durante l’edizione 2016 della Rassegna.

Il Quartetto Arditti – guidato fin dal primo giorno, nel 1974, dal violinista inglese Irvine Arditti e comprendente oggi Ashot Sarkissjan (secondo violino), Ralf Ehlers (viola) e Lucas Fels (violoncello) – interpreta tra Forlì e Macerata tutti e quattro i Quartetti per archi scritti da Scodanibbio: Visas (1985-’87), Lugar que pasan (1999), Altri visas (2000), Mas lugares (2003, su Madrigali di Monteverdi). Ma fa di più: registra usando come studio il Teatro Lauro Rossi di Macerata i quattro Quartetti, tre dei quali non erano mai stati incisi. Visas è l’unico disponibile su disco: appare insieme ad altre opere nel cd etichetta Montaigne intitolato From Italy, uscito nel 1995 a cura appunto dell’Arditti Quartet.

Scodanibbio compositore, quindi. Si tratta di una figura di musicista che ci appare sempre più significativa. In un ambiente nel quale l’interesse settoriale, esclusivo, tecnicizzante per la musica è un tratto distintivo (e assai negativo) lui è l’intellettuale a tutto campo, l’artefice di suoni – a volte scritti a volte ottenuti come strumentista anche con procedimenti improvvisativi – che «sta nel mondo», che dialoga con i pensatori delle trasformazioni sociali e con le esperienze effettive dei soggetti sociali insorgenti. Per Oltracuidansa, lavoro elaborato tra il 1996 e il 2002, per contrabbasso e nastro (con suoni di contrabbasso) su otto canali, prende spunto da La fine del pensiero di Giorgio Agamben. Nelle varie messe in scena de Il cielo sulla terra, pièce di teatro musicale tutta ispirata ai sogni alle realtà alle utopie rivoluzionarie, ingaggia Antonio Negri nel ruolo di voce recitante.

Il cielo sulla terra ha ancora Agamben tra i suoi ideatori. Ma la vicenda in sei scene che si avvale di dieci strumentisti, di due danzatori, di video, di elettronica e di un coro di bambini (il Kinderchor della Staatsoper di Stoccarda, co-produttrice dell’opera), è un flusso sonoro nel quale si ascoltano frammenti di scritti di Rimbaud, Kerouac, Débord, Jesi, Negri, Benjamin, Reta, Burroughs, Nono, Deleuze, Lowry. È una sorta di viaggio possibile/impossibile verso la liberazione, nella liberazione, lungo strade senza meta che sono animate dal desiderio di liberazione. Dalla Beat Generation al ’68, dal flower power ai no-global: è un’indicazione di lettura/ascolto fornita a suo tempo dall’autore. Che, chiaramente, immette nel suo flusso ideale sia la controcultura hippie sia l’antagonismo sociale più agguerrito. Ma il suo riferimento è il ’77 italiano.

«Tutte le avanguardie artistiche del Novecento, tutti i movimenti sociali giovanili, le teorie della liberazione», afferma Scodanibbio in una intervista concessa prima della replica dello spettacolo a Tolentino, nelle Marche, nel luglio 2006 (la prima era stata un mese prima a Stoccarda, una seconda replica si farà nell’agosto 2008 a Città del Messico), «convergono su questo punto: non c’è rivoluzione senza invenzione continua e non c’è un mondo sganciato dalla logica del lavoro (forzato) senza attività ludica. Sono state le avanguardie storiche come in particolare il dadaismo e il surrealismo a mettere al centro dell’attenzione il rapporto dell’arte con la vita, rapporto che non può non passare attraverso una rivoluzione sociale con conseguente liberazione dal lavoro… Nel ’77 si diceva: abbiamo oltrepassato la politica, non ci interessa prendere il potere in quanto lo abbiamo già, abbiamo cioè determinato un processo di costruzione sociale ampio e radicale, e non meramente comunitario… Al di là e al di fuori del mondo del lavoro…».

Il movimento fu stroncato, si disperse in mille rivoli. Con Il cielo sulla terra Scodanibbio rimette semplicemente in circolo quegli scampoli di cultura che avevano permesso di sognare con concretezza e possono permettere di riprendere la strada. Il compositore/virtuoso viene da anni di lavoro creativo mirabile. Oltracuidansa è uno dei punti più avanzati della ricerca sulle risorse del contrabbasso, di cui fin dall’inizio Scodanibbio ha voluto riscattare un ruolo marginale e troppo particolare nei giochi orchestrali della musica «dotta», e sulle proprie virtù di solista. Registra il brano per la Mode Records che pubblica il cd nel 2010. L’autore parla di un brano che «scava… nelle viscere dello strumento rivelando i lati oscuri e animaleschi del contrabbasso attraverso l’uso di tecniche non convenzionali». Il pizzicato nello stesso tempo meditativo e nomade, le lunghe immersioni in zone d’inquietudine un po’ angosciose un po’ ribelli e «selvagge»: sono tutti aspetti di un’opera che genera ammirazione e perdizione.

Scodanibbio è da sempre un partner curioso di altri strumentisti, specie in duo. Sono situazioni nelle quali mescola e alterna musiche proprie scritte, musiche di altri e parti improvvisate. Col trombettista Markus Stockhausen, l’angelo che suona divinamente nel Giovedì da luce e anche nel Martedì e anche nel Sabato del grande padre Karlheinz, si è incontrato spesso. A Terry Riley, il guru della cultura minimal e psichedelica, fornisce in un concerto alla Sapienza di Roma del febbraio 2004 il background di radicalità e di acume che serve all’illustre socio (e grande amico) per non disperdersi troppo in amenità orientaleggianti. Ma un colpo da maestro Scodanibbio lo effettua con un letterato: lo scrittore Edoardo Sanguineti. Prende in mano Postkarten, Ecco, 21 cartoline per Edoardo Sanguineti e Alfabeto apocalittico, musiche scritte nel 1997 e nel 2001, e parte in tournée con il vocalista che non ti aspetti. Uno che ha in serbo versi gentili, corrosivi, ironici, irregolari da recitare con insospettata musicalità. Al Club La Palma di Roma nel maggio 2007 sembrano due jazzmen consumati.

Al primo Festival di Musica Contemporanea promosso da Area Sismica a Forlì nel maggio 2011 si ascolta di Scodanibbio una nuova versione di Terre lontane (2003) ed è un colpo al cuore. Un pianoforte, un altro pianoforte registrato e miscelato con suoni elettronici, un video. L’aura è quella della crisi esistenziale di un artista che ha un intenso rapporto col suo tempo, con le ansie e con le sperimentazioni ancora possibili del presente. Ci sono passaggi di tensione verso la melodia cantabile. L’insieme è un capolavoro. Il compositore è già malato di sclerosi laterale amiotrofica, la terribile malattia che meno di un anno dopo lo condurrà alla morte.

L’ultima composizione portata a termine da Scodanibbio è Ottetto. Per otto contrabbassi. Lo suona alla Rassegna maceratese del 2013 l’ensemble Ludus Gravis che lui stesso ha fondato e che ora è coordinato da Daniele Roccato. La sostanza di Oltracuidansa è qui riversata e moltiplicata. Matericità sontuosa, divagazioni persino vitalistiche. E splendore della scrittura. La ritroveremo nei Quartetti che l’Arditti si prepara a interpretare all’Area Sismica e al Teatro Lauro Rossi. Dove la Rassegna (di 4 giorni) ha un titolo bellissimo, il titolo di un brano che Scodanibbio ha scritto tra il 1979 e il 1997: Voyage that Never Ends.