Dalla politica dell’evento a quella costituente. Dall’evocazione della grande scadenza dov’è determinante il conflitto frontale con il potere ad un percorso sperimentale per la costruzione di una nuova rappresentazione e auto-organizzazione del lavoro precario e, in generale, indipendente. Il successo dello sciopero sociale, che ieri ha visto sfilare tra 70 e 80 mila studenti, precari e partite Iva, centri sociali e sindacalisti di base in più di venti città italiane, può essere valutato come una trasformazione culturale dei movimenti rispetto ad un passato anche non troppo recente.

Le mobilitazioni sono state molteplici e spalmate sull’arco delle 24 ore con picchetti come quello all’alba all’Acea di Roma che procede a 300 distacchi dell’acqua al giorno; i blitz nei job center, i picchetti negli ipermercati a sostegno di precari e licenziati, le occupazioni di centri per l’impiego e degli uffici per stage; i sit-in di Venezia dove sono state segnalate le istituzioni culturali che usufruiscono di stagisti e mediatori culturali senza retribuirli. E poi ci sono state le manifestazioni classiche: ventimila persone hanno sfilato a Roma e a Napoli, in maggioranza gli studenti medi impegnati nella battaglia contro la riforma della scuola Renzi-Giannini; 10 mila a Milano; 5 mila a Torino; mille a Bari. E poi a Bologna, Padova, Pisa, Salerno, Genova, Trieste.

Da Nord a Sud, sono numeri non trascurabili, radunati uno dopo l’altro, e dal basso, attraverso un nugolo di assemblee partite solo a settembre dopo lo «Strike meeting» di Roma e trasportati da un’entusiasmante campagna sui social network che ha permesso di identificare nei volti di decine di silhouette nere l’autobiografia del lavoro precario, impoverito, senza tutele. Una maggioranza invisibile e senza ancora un’identità che non sia la sua stessa condizione. Quella esemplificata dalla battaglia più che simbolica contro il lavoro gratuito all’Expo 2015. Così vivono milioni di persone fuori dalla cittadella assediato del lavoro salariato. Per il quinto stato in Italia non ci sono diritti previdenziali o tutele sociali di base come la disoccupazione, la malattia, la maternità.

Ci sono voluti anni, ma lo «sciopero sociale» sembra avere recuperato le intuizioni degli anni Novanta e inizi Duemila con la Mayday milanese. Allora si parlava di «camere del lavoro e del non lavoro», oggi si parla di neo-mutualismo fiscale, sanitario, sociale o produttivo. Ieri sembrano essere riemerse, ma su un nuovo terreno. Quello indicato da un concetto ricorrente nelle assemblee o nei documenti degli ultimi mesi, la «coalizione», anche con i sindacati di base (Usb, Cobas, Adl Cobas, Cub) o la Fiom di Maurizio Landini. Una proposta che dovrà affrontare uno scenario inedito: la rottura del collateralismo politico tra Cgil e Pd sul Jobs Act e lo sciopero generale della Cgil il 5 dicembre. L’autonomia dello spazio politico creato dallo sciopero sociale andrà inoltre verificata già in vista delle prossime scadenze, a partire dall’assemblea dei laboratori per lo sciopero sociale (una ventina)a Napoli, probabilmente il 30 novembre.

Un percorso non privo di incognite perchè la partita sul Jobs Act sembra essere chiusa dopo l’accordo tra Renzi e la minoranza Pd. Tuttavia questo segnale può segnare un passaggio culturale: dalla rappresentazione del precariato come soggetto sociale omogeneo alla definizione di una soggettività plurale che presenta i differenti status del lavoro indipendente: dal professionista a partita Iva al precario sottopagato, o in nero, nel pubblico e nel privato.

Tratti emersi anche nella ventiquattrore romana, iniziata l’altro ieri notte con blitz e volantinaggi nei quartieri della «movida»: San Lorenzo e Ostiense. Proseguita all’alba con il picchetto all’Acea dove i manifestanti si sono travestiti da Super Mario Bross. Poi la manifestazione e innumerevoli blitz: dall’invasione di Auchan a Casalbertone, al corteo di Cinecittà fino ad una parata al Pigneto, dal blocco di Cobas insegnanti e studenti al ministero dell’Istruzione contro il «piano scuola» alla protesta in cima al Colosseo di Ilario Ilari e Valentino Tomasone, i due autisti di Roma Tpl sospesi dal lavoro per avere partecipato a «Presa Diretta» e sostenuti dall’Usb. L’occupazione del coordinamento di lotta per la casa di un ex palazzo Bnl in piazza Albania contro il «piano Lupi» sulla casa e il vibrante corteo dei 500 sans papiers richiedenti asilo in via del Tritone. A fine giornata il pulviscolo dello sciopero sociale è diventato cristallino. Non ha solo bloccato i flussi della produzione e della mobilità. Ha ripopolato per qualche ora i nostri deserti urbani.