Lo sciopero generale arriverà, ormai alla Cgil ne sono certi. Tanto più dopo un finesettimana in cui il presidente del consiglio Matteo Renzi ne ha dette di tutti i colori, commentando quasi con derisione la manifestazione di San Giovanni (il «gettone telefonico nell’Iphone», il «rullino nella macchina digitale», e via di battute). Ma lo sciopero non arriverà a breve (sul piano delle date), seppure politicamente si sia avvicinato ancora di più, visto l’incontro «surreale» (parole di Susanna Camusso) riservato ieri ai sindacati dai quattro ministri (Poletti, Padoan, Madia e Delrio) a Via Veneto.

D’altronde, che alla Cgil siano arrabbiatissimi con Renzi, lo hanno fatto capire sia all’entrata del tavolo ministeriale, che in uscita. Camusso, avvicinata dai giornalisti mentre varcava il portone del ministero del Lavoro, a chi le chiedeva se aveva pronte le sue proposte, rispondeva sarcastica: «Ho tutto, anche il gettone e il rullino».

Allo stesso modo, uscendo per dirigersi veloce verso la Direzione di Corso d’Italia (proprio per decidere le prossime mosse con i suoi), ai cronisti che domandavano se ci sarà lo sciopero, la leader Cgil ha spiegato: «Sabato abbiamo detto una cosa precisa, che in assenza di risposte andremo avanti. Mi pare che siamo in assenza di risposte». Per poi lasciare, però, ancora una porta aperta: «Ci hanno annunciato una fase meditativa. Siamo sempre pronti a cambiare idea sullo sciopero se mediteranno bene».

Quando, dunque, questo sciopero? Per il momento la Cgil non è intenzionata a indire una data, seppure lo lasci sempre come possibilità molto concreta: ieri la Direzione del sindacato (la segreteria di Camusso, insieme ai segretari di categoria e a quelli territoriali) ha deciso che la tensione non si deve affatto abbassare, e anzi che vanno organizzati scioperi territoriali per accompagnare non solo il lavoro parlamentare (dalla legge di stabilità al Jobs Act), ma anche i prossimi appuntamenti di mobilitazione nazionale, a partire dalla giornata dei pensionati (il 5 novembre) e da quella dei lavoratori pubblici (l’8 novembre).

Attenzione: iniziative, queste, entrambe unitarie (con Cisl e Uil). E infatti la Direzione, che si è chiusa nella tarda serata di ieri, ha preferito rimandare l’indizione di un eventuale sciopero generale al dopo 8 novembre. Per una serie di motivi: innanzitutto per far montare ancora la mobilitazione, prepararla e accompagnarla, nelle settimane che verranno. Poi, per vedere che mosse deciderà di fare il governo. Infine, cammin facendo con i compagni di strada, si spera forse di tirarli in un’iniziativa comune. Un mese dopo il Circo Massimo, nel 2002, ci fu un partecipatissimo sciopero generale unitario: si può bissare?

La risposta, per ora, da parte soprattutto della Cisl, è un netto no. La segretaria Annamaria Furlan ha ribadito che «con la Cgil su alcune questioni la pensiamo allo stesso modo». Ma non sullo sciopero generale e «neanche sull’occupazione delle fabbriche della Fiom. Servono occupati, non occupazioni».

La Cisl sceglie la via interlocutoria, più morbida, anche perché sul Jobs Act ha posizioni più aperte al cambiamento: «Il reintegro contro i licenziamenti discriminatori e disciplinari anche per noi non si tocca – dice Furlan – Per i neoassunti siamo disponibili a discutere che per 3-4 anni non scatti l’articolo 18 se si assorbono nel contratto a tutele crescenti le forme di precariato».

Quindi, per diversi motivi, tocca aspettare. E alla Cgil ritengono che una mobilitazione agita nei tempi giusti, facendo maturare le cose (e se possibile anche le alleanze) renda di più. Lo spiega Danilo Barbi, segretario confederale (uno dei componenti dell’esecutivo guidato da Camusso) durante una pausa della Direzione: «La lotta è lunga. C’è la legge di stabilità, e per modificarla ci muoveremo in tutto il periodo che abbiamo davanti. Ma c’è pure il Jobs Act, importantissimo, e quello non avrà conclusioni immediate. Non si ultimerà prima di febbraio, perché ci sono i decreti delegati da scrivere. Noi continuiamo a mobilitarci, ma nei tempi giusti».