Gli operai della Texprint da ieri mattina sono in sciopero della fame. La scelta è arrivata dopo 228 giorni di sciopero e presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica, stamperia tessile a conduzione cinese situata nel cuore del Macrolotto 2 pratese. L’attenzione è ora rivolta alle istituzioni locali cui si richiede la conclusione degli accertamenti dell’Ispettorato del Lavoro, ancora attesa a sette mesi di distanza dalle denunce, oltre al riconoscimento di permessi di soggiorno speciali per sfruttamento secondo l’art.18 del decreto legislativo 286/1998.

Lo scorso gennaio, diciotto operai (pachistani e senegalesi) iniziavano con il sindacato una lunga lotta contro turni di dodici ore al giorno per sette giorni la settimana, la negazione del diritto alle ferie e alla malattia retribuita, contratti di lavoro irregolare e lavoro nero, per la salute e la sicurezza, dato l’elevato rischio di infortuni che in fabbrica è già costato dita amputate, mani schiacciate nei rulli e ustioni da acido. Le richieste degli scioperanti sono riassunte nello slogan “8×5” che campeggia in ogni angolo del presidio allestito da sette mesi davanti allo stabilimento: otto ore di lavoro, per cinque giorni la settimana. Come agli albori del movimento operaio. La risposta dell’azienda è stato il licenziamento dei “ribelli” e la chiusura ad ogni ipotesi di regolarizzazione dei lavoratori.

La lotta alla Texprint continua ad essere un faro acceso su ciò che accade “dietro le quinte” del made in italy, sulla condizione operaia contemporanea nel secondo distretto di abbigliamento d’Europa che è bene tenere sottotraccia. Perché lo sfruttamento denunciato dai diciotto operai della stamperia è di fatto la norma in centinaia di aziende situate nei Macrolotto pratese. A confermarlo i recenti 64 controlli straordinari dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl): il 100% delle aziende è risultato irregolare, circa il 45% dei lavoratori è risultato in nero. Le 84 (o più) ore settimanali in cambio di paghe che superano di poco i 1000 euro come invarianza. Dati che fanno stridere una narrazione che, dal Sindaco Biffoni alla Confindustria, continua a parlare dello sfruttamento come fenomeno marginale che nulla avrebbe a che fare con la “vera” natura di eccellenza del distretto.

Sarebbe importante invece chiedersi come sia stato possibile che un intero distretto industriale sia diventato de facto una zona economica speciale dove ai capitali italiani e stranieri è concessa la licenza di fare impresa in deroga a leggi, norme, contratti e principi costituzionali. E dove i costi delle sanzioni – quando arrivano – sono poca cosa rispetto agli enormi profitti che le aziende così ricavano.

Il distretto illegale qui esegue lavorazioni conto terzi per quello rispettabile dei marchi, facendo così venire meno il confine tra due realtà che si vuole rappresentare come distinte. La certezza è che un esercito di nuovi schiavi provenienti dalla Cina, dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’Africa da anni reggono sulle proprie spalle il peso della competitività, a servizio della tanto acclamata eccellenza del made in Italy del distretto pratese, nodo locale bene integrato nelle catene di fornitura globale della moda. Reti di fornitura basate sullo sfruttamento strutturale di manodopera, sottoposta a condizioni di lavoro insicure ed estenuanti con salari al di sotto della soglia di povertà.

È questa forza lavoro che ha iniziato a scoprire l’organizzazione sindacale e lo sciopero come arma per il riscatto da una vita di segregazione tra turni infiniti in fabbrica e case sovraffollate. Prima della Texprint, in pochi mesi, sono state una decina le tintorie e stamperie del distretto pratese che hanno conquistato “8×5” e l’applicazione del contratto nazionale a seguito di scontri duri e lunghi ai cancelli. A Ottobre era la Giaroeste, a Novembre la Sunshine, a Dicembre era Tintoria 2020. A Giugno, dopo cinque giorni di picchettaggio dello stabilimento situato a 200 metri dalla Texprint, i lavoratori della TopLine impiegati per le lavorazione conto terzi di noti marchi – tra cui Gucci e Terranova – conquistavano anche loro le 40 ore settimanali e raddoppiavano la paga oraria prima fissata a 4€ l’ora.

Le istituzioni pratesi guardano con ostilità a questo imprevisto movimento dei dannati del distretto. Lo sciopero della fame avviato prova invece a richiamarli alle loro responsabilità. E avrà bisogno del sostegno e della solidarietà della cittadinanza perché quelli in gioco sono i diritti di tutti.

 

* Si Cobas
** Campagna Abiti Puliti