Questa estate la lunga vertenza dei magazzinieri – quasi tutti egiziani – di Zara sembrava arrivata ad una buona soluzione: decenni di contratti senza regole nelle – chiacchierate – cooperative erano stati sanati con riconoscimento sul pregresso coperto dalla stessa multinazionale spagnola dell’abbigliamento; in più tutti passavano al contratto nazionale Merci e Logistica, più remunerato e garantito di quello Multiservizi, usato prima.
Ma da giovedì a Roma e da ieri a Milano per un totale di 120 lavoratori il Si Cobas ha proclamato lo sciopero contro la proposta dell’azienda. Fine dell’appalto alle cooperative del gruppo Il Faro e passaggio a Manpower, agenzia interinale, con contratto di staff leasing.
Ieri la sessantina di lavoratori dei magazzini di via del Coroso e Porte di Roma hanno manifestatato davanti all’ingresso del centralissimo negozio dirimpettaio di palazzo Chigi. Lavoratori che l’anno scorso si erano resi protagonisti di una lunga protesta guidata dalla Filt Cgil – che per la prima volta ha utilizzato i blocchi dei magazzini, strategia classica dei Cobas – e passata anche per le pressioni dell’ambasciata e del consolato egiziano – con titoli cubitali sulla stampa del regime di Al Sisi e intervento del ministro del lavoro – per arrivare ad un accordo. Ora buona parte di loro si è spostata con il Si Cobas. Lo slogan di ieri è racchiuso nel volantino di solidarietà distribuito ai clienti del negozio «Zara veste l’ingiustizia»: «Siamo i facchini che scaricano i pacchi di questo negozio: dopo che l’anno scorso abbiamo conquistato l’applicazione della giusta paga prevista dal contratto nazionale, Zara ci dice che o diventiamo lavoratori interinali con un pesantissimo taglio in busta paga o verremo licenziati. Aiutaci a contrastare le multinazionali che fatturano miliardi e non vogliono darci un salario decente: consegna questo volantino alla cassa».
Il responsabile delle Risorse umane di Zara Italia Gianni Di Falco ha scelto il periodo di minimo lavoro per preparare il piano di riorganizzazione, annunciando per fine febbraio il passaggio, spacciandolo per una riorganizzazione e allargando le mansioni anche di allestimento scaffali e commesso. «Si passerebbe al contratto del commercio con una differenza pesante in busta paga e soprattutto non c’è alcuna garanzia dell’internalizzazione promessa», denuncia il Si Cobas.
Sensibilmente diverso il resoconto della proposta fatta da Zara nell’incontro di ieri mattina a Milano, tracciato dal segretario regionale della Lombardia con delega alla logistica della Filt Cgil Emanuele Barosselli: «Di Falco di Zara ha legato il passaggio ai problemi avuti con le cooperative e si è detto disponibile ad una integrazione annuale per coprire i 500 euro di differenza contrattuale. In più si è detto disponibile a mettere nero su bianco una soglia minima di internalizzazioni fino all’80 per cento dopo un anno di staff leasing con Manpower, un contratto con cui anche chi non verrà internalizzato ha una copertura seguente rispetto al niente dovuto nel caso di fine dell’appalto con la cooperativa Il Faro. Noi di certo – continua Barosselli – non abbiamo firmato e abbiamo chiesto ai nostri iscritti di formare una delegazione per incontrare di nuovo l’azienda venerdì. Capiamo i loro problemi anche se ora sappiamo che potrebbero passare ai Cobas».
La cooperativa Il Fato rimane invece nelle cosiddette «piattaforme» – i magazzini territoriali di Zara – come quella di Castel Giubileo a Roma, nella quale il 6 marzo scorso l’amministratore delegato Vittorio Picena si presentò con una quindicina di addetti alla sicurezza armati di pistole taser per «liberare il magazzino» picchiando e mandando all’ospedale tre lavoratori. L’inchiesta sui fatti di quel giorno va avanti, anche se i lavoratori hanno poi deciso di non sporgere querela contro i loro attuali datori di lavoro.