Mentre il neo presidente di Confindustria in carica da un giorno solo è già diventato il paladino dei liberisti di tutta Italia, ospitato in ogni talk show a partire dall’ossequioso Bruno Vespa, la Cgil manda un messaggio molto chiaro rispetto al primo caposaldo della nuovo credo imprenditoriale: cambiare il modello contrattuale. «Siamo per il rinnovo dei contratti, non c’è da revisionare proprio nulla», avverte Maurizio Landini. «C’è da riqualificare la contrattazione che abbiamo già. Avremmo bisogno di una legge sulla rappresentanza. A Confindustria dico: si rinnovino i contratti già esistenti perché lì dentro si possono trovare le risposte ai problemi nuovi che stiamo discutendo: come si riducono gli orari di lavoro, come si dà diritti a chi lavora da casa. Attraverso i contratti che ci sono abbiamo tutte le condizioni per affrontare questo nuovo processo. Se qualcuno pensa che dietro la parola revisione c’è l’idea di non rinnovare i contratti, dico che non è la strada di cui il paese ha bisogno. Quindi – chiarisce Landini – no revisione dei contratti, sì al rinnovo dei contratti».

MA BONOMI È UN FIUME IN PIENA e con il vento in poppa del trionfo mediatico riapre perfino ciò che l’Inail aveva seppellito: lo scudo penale sugli infortuni sul lavoro da Covid19: «Serve una norma perché gli imprenditori non sono premi Nobel nelle scienze».
Si esprime perfino su Fca, dimenticando che l’ex Fiat è uscita da Confindustria e non ha alcuna necessità di rientrarci. «Sì al finanziamento ma si controlli che risorse arrivino alla filiera», ha osservato il nuovo numero uno degli industriali italiani. Che poi chiede al governo di trasformare l’Italia in un paradiso fiscale per multinazionali: «Stiamo parlando dell’Olanda nella comunità europea: se quel paese riesce a dare condizioni di attrattività alle imprese, il tema è perché non riusciamo a farlo anche noi».

IN MATTINATA LO STESSO LANDINI e Francesca Re David avevano invece rilanciato la richiesta di «un tavolo permanente» sul settore dell’auto, come c’è in Francia e in Germania». «Siamo dentro un percorso di fusione tra Fca e Psa e noi ancora stiamo discutendo se Fca ha la sede in altro paese, quando tutto il settore è fortemente in crisi», ha sottolineato la segretaria generale della Fiom. «È abbastanza incredibile che in questi anni non sia ancora mai avvenuto un confronto sull’automotive, oggi è ancora più urgente, si tratta di ragionare su come si implementano gli investimenti e la produzione in Italia, come si salvaguarda l’occupazione oggi e come si riempe in prospettiva». Sul pagamento del dividendo da 5,5 miliardi chiesto da John Elkann a Psa, Re David è dura: «Con i lavoratori in cassa integrazione da anni i dividendi possono aspettare».

Più esplicito Landini sulla richiesta di ingresso dello stato italiano nel capitale della nuova società che uscirà dalla fusione fra Psa e Fca: «Non sarebbe male se il governo, oltre a convocarci e discutere con l’impresa e svolgere un ruolo su tutta la filiera dell’automotive, valutasse anche la possibilità di un intervento o di una presenza anche per il periodo di realizzazione del progetto con Psa. È indubbio che stiamo parlando di una fusione in cui dall’altra parte c’è anche un soggetto pubblico che è lo Stato francese che ha grande attenzione a difendere le proprie imprese e i propri lavoratori. Italia e Francia sono assieme nella battaglia in Europa per chiedere l’istituzione di fondi per fare investimenti straordinari – conclude Landini – è coerente chiedere al governo di svolgere una funzione nuova».

SULL’ACCIAIO INVECE siamo già all’allarme rosso. Arcelor Mittal sta scappando – lo ammette anche il ministro Patuanelli – e la Ast di Terni è in vendita. In concomitanza con il tavolo urgente convocato al Mise per lunedì 25 sull’ex Ilva ieri Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato sciopero unitario di 4 ore in tutti gli stabilimenti. «La produzione di acciaio è strategica per il paese – analizza Re David – . Non so quali siano le intenzioni di ArcelorMittal, perché non abbiamo avuto alcun ritorno dall’azienda nè dal governo. C’è un velo su tutta la vicenda. Credo che nèil governo né l’azienda si possano limitare a ragionare di cassa integrazione, ma debbano discutere di piani industriale, ambientale e occupazionale», chiarisce.