Once Twice Melody – l’ottava fatica dei Beach House – trova il duo dream-pop di Baltimora composto da Victoria Legrand e Alex Scully al culmine della propria vena. Registrato a Los Angeles e a Baltimora, il disco è stato somministrato omeopaticamente: pubblicato all’inizio del 2022 in quattro «dispense» di 4/5 brani ciascuna a distanza di mesi, un modo per sfidare il patologico declino della soglia d’attenzione nell’homo telematicus. Ed è il primo prodotto dal duo, con il ritorno al mixer dell’imprescindibile Alan Moulder. Non intimidiscano gli ottanta minuti di durata: come tante nubi soffuse, ciascun brano si apre, si diffonde e si chiude in un suadente scintillio di synth, chitarre e di arrangiamenti riverberanti a circonfondere la voce solista di Victoria Legrand, chanteuse crepuscolare per eccellenza e dall’anelito sempre in bilico fra il non più e il non ancora. Il suono è più profondo e orchestrale che in passato, anche grazie all’aggiunta, nella splendida Pink Funeral, della sezione di archi arrangiati da David Campbell. L’approccio è lo stesso dei loro album più acclamati – il folgorante Teen Dream, (2010), Depression Cherry (2015) e 7 (2018): melodie semplici e inoppugnabili, quasi delle nursery rhymes sostenute da batterie elettroniche anni Ottanta e altri effetti vintage su cui è cresciuta una produzione multistrato ricca e sontuosa.

MEGLIO DI COSÌ non si può fare, la formula è stata perfezionata allo stremo. E Legrand – nipote del pianista e compositore francese Michel Legrand – tiene davvero fede al suo cognome in tutti i sensi, tanto suadente e sussurrante è diventata la sua voce in questi vent’anni di carriera. Il suo è l’immaginario di una teenager adulta – tipologia perfetta del consumatore nel terziario arretrato – in un perpetuo stato di elaborazione dell’amor perduto, o non trovato, preferibilmente sotto le vaghe stelle dell’orsa. Nel complesso, l’effetto amniotico di Once Twice Melody ti avvolge e trattiene, e a buon titolo: là fuori, il mondo è sempre più brutto. Ma rimproverare i Beach House di escapismo è un po’ come, secoli fa, criticare gli Smiths perché erano «pessimisti»: qualità integrate alla loro cifra creativa con le quali è meglio riconciliarsi, pena il non coglierne la grandezza. Sono gli unici ad ever saputo incapsulare per il terzo millennio il suono «etereo» che negli ’80 rese celebre la 4AD: e le frequenti loro comparazioni con i Cocteau Twins non sarebbero peregrine, anche se il divario vocale fra Elizabeth Fraser e Legrand è decisamente sfavorevole alla seconda. Naturalmente, il fatto che escano su Bella Union – l’etichetta fondata dal bassista dei Cocteau, Simon Raymonde – agevola l’analogia.