È di due condanne a morte, 56 al carcere (di cui 19 all’ergastolo) e 47 revoche di cittadinanza il bilancio del processo di massa chiuso ieri in Bahrain contro cittadini sciiti della monarchia degli al-Khalifa. Tutti accusati di aver «formato un gruppo terroristico» e esportato armi e munizioni per realizzare «attacchi e omicidi».

Dei 60 imputati solo due sono stati scagionati, mentre 24 sono stati giudicati in contumacia. «Una parodia di giustizia», l’ha definita Sayed Ahmed Alqadaei, direttore del Bahrain Institute for Rights and Democracy: «Le confessioni estorte sono diventate la norma nelle corti bahreinite che dispensano sofferenza ai cittadini».

Soprattutto quelli sciiti, maggioranza nel paese del Golfo governato dalla minoranza sunnita con il pugno di ferro: giornalisti sotto processo, attivisti in carcere, partiti politici messi al bando, 553 persone private della cittadinanza dal 2012 e 21 condannati a morte solo nel 2017.

Per gli al-Khalifa è tutta propaganda iraniana; non a caso i 58 condannati sono accusati di lavorare per il nemico Teheran. Dietro sta la longa manus del super-alleato saudita (quello che intervenne per sopprimere nel sangue la primavera di Manama del 2011), forte dell’impunità globale: il Bahrain è sede della Quinta Flotta Usa.